Antonio di Gennaro, Repubblica Napoli del 12 marzo 2017
Evidentemente anche gli equilibri spontanei del “grado zero” di governo, il lasciar andare la città un po’ come gli pare, a volte pure saltano, e così è stato venerdì mattina, per motivi ignoti in tangenziale la coda per uscire a corso Malta era un serpente sonnolento di più di dieci chilometri, che iniziava a srotolarsi dalla conca di Agnano.
Dopo quaranta minuti incolonnato in fila mi viene l’impulso di uscire a Fuorigrotta, di cercare fortuna sul lungomare, e in effetti le cose sembrano migliorare, a piazzale Tecchio la circolazione è più fluida, mi torna il pensiero che questo è il quartiere più europeo della città, quello che per tutta una serie di motivi, alla fine, funziona meglio.
Esco dal tunnel, a via Caracciolo inondata di luce si cammina ancora, è una mattinata stupenda di primavera anticipata, ma l’entusiasmo si raffredda a viale Dohrn, dove la coda si riforma. Ho tutto il tempo di ammirare la statua equestre di Armando Diaz stagliarsi contro il cielo azzurro, di ricordare nonno Gennaro, che con lui combatté a Vittorio Veneto, soldato semplice ventottenne, nel reggimento dei Bersaglieri.
In lontananza, Castel dell’Ovo è solo una sagoma grigia in un mare di schegge scintillanti, davanti al generale c’è un traliccio incongruo di tubi innocenti, con una baracca pensile da stabilimento balneare, è il famigerato albero metallico delle feste di Natale, mi dicono che lo stanno smontando, ma non c’è persona viva, evidentemente non c’è fretta, c’è tutto il tempo.
Si procede a passo d’uomo fino a piazza Vittoria, via Chiatamone, la grotta, via Acton, fino all’Immacolatella, e qui i motivi dell’imbottigliamento si svelano finalmente, tre operai stanno lavorando a un tombino in mezzo alla carreggiata, ma ora stanno fumando, proprio accanto s’è fermato un suv nero, il proprietario parla animatamente al telefono, guai a dirgli che sta bloccando tutto, desolatamente scopri che dopo il restringimento improvvisato via Marina è assolutamente libera, e ti viene da piangere.
Profitto per buttare un occhio al cantiere infinito per il rifacimento della strada, anche qui, come sull’albero metallico, non c’è anima viva, la cabina del bagno chimico ha un che di metafisico, niente operai né persone, c’è un trionfo assoluto dell’elemento minerale, solo una geologia primordiale di cumuli di detriti, grosse schegge di roccia lavica, scatolari di cemento precompresso, in attesa.
Di vivente, alla fine ci sono solo le povere palme, le stesse dello Starbucks in piazza Duomo, forse meno famose, ma le vedo sofferenti, le foglie già stropicciate e ingiallite, la terra dove le hanno messe a dimora non mi sembra un gran che, e provo pena per loro, spero veramente ce la facciano a resistere in mezzo a questo deserto, a questo tempo senza uomini e senza cura, senza una regola minima per vivere insieme.
La foto di Castel dell’Ovo è tratta da http://www.cosavisitare.com
2 commenti
Comments feed for this article
13/03/2017 a 18:32
Il dovere di opporsi all’odio: Salvini a Napoli | il Taccuino dell'Altrove
[…] Giogg: Sono d’accordo, il sindaco ha responsabilità nell’aver fomentato certi animi. Il suo “grado zero di governo” ieri si è inceppato. […]
09/12/2022 a 07:15
Jake K
Great post thankyyou