
Antonio di Gennaro, Repubblica Napoli del 6 febbraio 2025
La lettura delle 182 pagine della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sul ricorso presentato da 34 cittadini e associazioni contro lo Stato italiano per le presunte inadempienze nell’affrontare la crisi della cosiddetta “Terra dei fuochi” richiama ciascuno di noi a ulteriori considerazioni e riflessioni su una questione difficile e complessa, che pareva uscita dal dibattito pubblico.
Diciamo subito che il lavoro svolto dai magistrati europei appare serio e approfondito, a partire – è importante sottolinearlo – da una base conoscitiva che è quella fornita dalle parti ricorrenti, nonché dalle istituzioni, amministrazioni ed enti chiamati in causa.
Il punto di arrivo è assai chiaro: la Corte ritiene lo Stato italiano responsabile di ritardi nell’affrontare con misure adeguate il fenomeno dello smaltimento e della combustione illegale di rifiuti in ampie aree della piana campana, non proteggendo adeguatamente in questo modo il diritto alla salute dei ricorrenti, e di tutti gli abitanti.
In particolare i ritardi riguardano la capacità di prevenzione e contrasto delle pratiche illegali di smaltimento; il completamento dell’impiantistica necessaria a una razionale gestione del ciclo dei rifiuti; il recupero dei siti compromessi e degradati a seguito degli sversamenti.
Per superare definitivamente questi problemi la Corte indica le misure che lo Stato italiano è chiamato ad attuare nel prossimo biennio, a cominciare da una strategia complessiva ed efficace di intervento, in grado di superare finalmente la frammentazione delle competenze istituzionali e degli approcci settoriali.
La Corte richiede che l’attuazione della strategia sia accompagnata dalla creazione di un sistema di monitoraggio indipendente delle misure messe in campo, e di una piattaforma informativa al servizio del pubblico per una comunicazione adeguata dei rischi, delle misure di protezione, e dell’avanzamento del programma di interventi.
C’è da dire che molto è stato fatto, e la sentenza ripercorre il lavoro che le istituzioni hanno svolto, soprattutto a partire dal decreto “Terra dei fuochi” del 2013, con il monitoraggio capillare dei suoli e delle produzioni agricole, che ha condotto a una doverosa riabilitazione dell’agricoltura della piana campana, che pure ha subito da questa vicenda un danno economico, sociale, reputazionale enorme e ingiustificato.
Ciò nonostante, i punti problematici che la Corte ritiene non superati sono legati ai ritardi nella realizzazione degli impianti di trattamento dei rifiuti urbani, in particolar modo quelli di compostaggio. e di quelli per la gestione dei rifiuti speciali, a cominciare da quelli prodotti dalle aziende manifatturiere e dall’edilizia.
L’altro nodo riguarda la lentezza con la quale procede il recupero dei siti contaminati e degradati a causa degli sversamenti, e qui la sentenza della Corte obbliga a una riflessione importante. Nella parte inziale della sentenza, la Corte dedica ampio spazio a quella che è stata definita “la madre di tutte le discariche”, la famigerata Resit di Giugliano, soffermandosi sui rischi ambientali inaccettabili e le condizioni di degrado di un sito assurto a simbolo dell’intera vicenda.
Quella che manca nella sentenza è l’altra parte della storia: la messa in sicurezza della Resit realizzata dal Commissario di governo alle discariche dell’area giuglianese, con un intervento rigoroso e sobrio di confinamento e impermeabilizzazione del corpo di discarica, di captazione del percolato e delle emissioni gassose, di restauro paesaggistico con alberi prati e arbusti. L’inaugurazione del parco verde nato al posto del disastro fu una mattinata commovente, con l’esposizione delle opere degli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, gli aquiloni, e i murales di Jorit con i volti di Giancarlo Siani e Peppino Impastato.
Un’altra storia che manca nel dispositivo della sentenza è quella del frutteto di San Giuseppiello, a poche centinaia di metri dalla Resit, sei ettari di paradiso impiegati per anni per lo smaltimento di fanghi di conceria. Grazie a un progetto di ricerca LIFE della Federico II premiato dalla Commissione europea, l’area è diventata un bosco di 20mila pioppi, l’impianto di fitorisanamento dei suoli più importante della Campania, messo definitivamente in sicurezza impiegando le erbe e gli alberi appropriati, e visitato da più di 10mila studenti delle scuole pubbliche della Campania, per dimostrare ai ragazzi che il futuro esiste, gli ecosistemi e i paesaggi feriti possono essere riscattati.
La Commissione europea ha premiato queste due esperienze, come esempio di buone pratiche per il recupero degli ecosistemi e dei paesaggi della piana, con tecniche avanzate, sostenibili, in tempi e a costi contenuti. La domanda è perché questi approcci, a partire dal 2017, non siano stati riproposti per il recupero delle altre “terre di nessuno” ancora in attesa.
Di questa disattenzione hanno anzi profittato le forze che osteggiano qualunque ipotesi di riscatto e ritorno alla legalità, con una serie di raid vandalistici, dei quali questo giornale si è dovuto purtroppo a più riprese occupare. Nella strategia che la Corte europea chiede di mettere in campo, sono tutte cose che dovremo necessariamente riprendere e riconsiderare.

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