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Antonio di Gennaro, 27 marzo 2015

Il nome, Xylella, suona come quello di una fanciulla esotica, invece è quello del batterio killer che sta sterminando gli olivi in Terra d’Otranto, lo sperone d’Italia, mettendo a serio rischio la coltura millenaria dell’albero, in Italia e nel bacino del Mediterraneo. Il batterio si insinua nei vasi che trasmettono la linfa grezza dalle radici alle foglie, li ingromma e li ostruisce col suo catarro, le piante secolari intristiscono, e velocemente disseccano e muoiono. Il temibile focolaio pugliese interessa le province di Lecce e Brindisi, l’umile Italia di Virgilio, in un’area grande suppergiù centomila ettari, poco meno della provincia di Napoli. L’emergenza è di scala continentale, c’è già un commissario straordinario nominato dal governo, mentre l’Unione europea ha prodotto un allarmato rapporto con le misure straordinarie per bloccare l’infezione.

Il fatto è che è impossibile attaccare direttamente il batterio, protetto com’è all’interno dei tessuti della pianta, ed allora è necessario combattere il suo vettore, l’insetto che lo trasporta, un’inerme cicalina grande pochi millimetri, che vive nell’erba, e si protegge all’interno di una nuvola di schiuma che lei stessa produce, che sembra un grumo di bava, da cui il nome volgare di “sputacchina”. L’insettino si nutre della linfa delle piante, succhiandola direttamente col suo stiletto dai tubicini microscopici che la trasportano. Quando l’erba secca, la cicalina passa ad attaccare i germogli d’olivo. Così facendo, il batterio è trasportato da un albero all’altro, e l’infezione si propaga.

La soluzione proposta dall’Unione europa è ora quella di creare con urgenza una fascia sanitaria di eradicazione, intorno al focolaio di infezione, larga almeno quindici chilometri, una cosa epocale, mai vista, nella quale le piante malate devono essere rapidamente distrutte, la cicalina combattuta coi pesticidi, le erbe che la ospitano disseccate coi diserbanti, e interrate con fresature continue. L’esito di queste misure rimane incerto, perchè il minuscolo insetto può essere inconsapevolmente trasportato da uomini, animali, autoveicoli.

Dove passa la Xylella, l’olivo scompare, non può più essere coltivato, ed allora proviamo ad immaginare le nostre campagne senza olivi. Non è possibile, perchè il paesaggio mediterraneo è stato costruito intorno all’olivo, che con la vite e il grano compone la “triade mediterranea”, la base della sussistenza umana da tre millenni a questa parte, nonchè il nucleo essenziale della dieta mediterranea, oggi celebrata dall’Unesco come “patrimonio immateriale dell’umanità”.

Del resto, l’olivo stesso è un’invenzione, un prodotto della tecnica, dell’intelligenza, nel senso che il suo progenitore naturale è un cespuglio impervio della macchia mediterranea, ed è stato l’agricoltore mediterraneo tremila anni fa a volerlo pensare come albero, allevandolo con appropriate metodologie, che il mito vuole siano state trasmesse agli uomini da Pallade Atena in persona, la dea della pace e del buon governo.

Insomma, c’è preoccupazione. Già l’annata 2014 era andata male, causa l’andamento metereologico sfavorevole, e l’olio extravergine nazionale è sufficiente a soddisfare i consumi interni non oltre il mese di giugno. Poco olio, ed ora rischiamo addirittura di perdere gli olivi. Una cosa inimmaginabile. Dobbiamo augurarci che il programma straordinario di intervento abbia successo. Iniziando a riflettere sul fatto che i magnifici oliveti della Penisola, del Cilento, della collina interna, del Roccamonfina, non sono alla fine una presenza scontata, non ci sono dati per sempre, una ragione in più per amarli e proteggerli.

Pubblicato su Repubblica Napoli del 1 aprile 2015 con il titolo “Quella “sputacchina” rischia di cambiare il paesaggio mediterraneo”

Antonio di Gennaro, 11 marzo 2015-03-11

Come non essere d’accordo con l’analisi di Giuseppe Guida (“Bagnoli, serve una nuova variante per l’area occidentale”, Repubblica Napoli del 10 marzo 2015): con l’insediamento del commissario inizia una fase nuova, nella quale tutto, ma proprio tutto deve essere messo in discussione, beneficiando della lezione appresa, e a questo riguardo sono quattro le considerazioni che vorrei aggiungere a quelle svolte nell’editoriale di ieri.

La prima riguarda l’informazione pubblica. Per troppi e lunghi anni la cittadinanza è stata tenuta all’oscuro sull’avanzamento dei lavori: Bagnoli è diventata una faccenda per iniziati, all’opposto di quanto avviene in Europa, dove la comunicazione periodica dei risultati e le attività di ascolto sono ritenute aspetti qualificanti del processo. Per questo motivo, fossi il commissario, per prima cosa produrrei in tempi stretti un libro bianco, un rapporto pubblico per la cittadinanza, illustrando in una trentina di cartelle, con linguaggio piano, ed evitando gerghi confondenti, qual’è lo stato dell’arte: le cose fatte e quelle da fare, i problemi risolti e quelli ancora aperti. Scopriremmo allora aspetti interessanti: che i due terzi delle aree oramai sono a posto, molte di queste sono di proprietà pubblica, e si potrebbe passare immediatamente ad una fase attuativa, se solo si sapesse cosa fare.

In secondo luogo, c’è da smitizzare una volta per tutte questa benedetta bonifica, che da strumento si è trasformato in fine: occorre orientare le attività di recupero ambientale, come in Europa e nel mondo si fa, su corrette analisi del rischio, piuttosto che su tabelle astratte e avvocatesche, buone per diluire indefinitamente tempi e obiettivi, dilatando a piacere la spesa. L’ottica corretta, dopo un secolo di attività industriale, è quella sobria della messa in sicurezza, conseguibile in tempi rapidi e a costi contenuti.

Terzo punto, di fondamentale importanza, è quello della mobilità. Come si arriverà nella nuova Bagnoli? In auto, come proponeva Pomicino? O più sostenibilmente in metropolitana, come è scritto nel piano regolatore, che prevedeva di servire il quartiere con due linee, la 2 e la 8? Questa previsione è stata inspiegabilmente rimossa, ripiegando sull’allungamento della linea 6, l’infausta e costosissima LTR, totalmente inadeguata allo scopo.

In ultimo, va bene rifare il piano, come propone Guida, ma ricordando che a questo punto il pallino delle operazioni – come previsto dal decreto “Sblocca Italia” – non è più a Palazzo S.Giacomo, ma nelle mani del commissario governativo. Potrebbe non essere una cosa cattiva, considerato il fatto che gli uffici di piano nostrani – quello comunale e quello regionale – non godono di buona salute. A questo punto, la ricostruzione di una capacità progettale pubblica, in grado di dialogare credibilmente con gli investitori privati, diventa uno dei compiti prioritari del commissario in arrivo, l’eredità buona da lasciare ai governi locali, affinchè proseguano il lavoro.

Pubblicato su Repubblica Napoli del 12 marzo 2015 con il titolo “A Bagnoli si possono già fare molte cose se soltanto si sapesse quali”

Antonio di Gennaro, 9 marzo 2015

Nella foto dal cielo di Astrosamantha gli uomini non si vedono: c’è l’area napoletana con la sua fisiografia, come si è determinata negli ultimi undicimila anni, con il mosaico straordinario di vulcani ed ecosistemi: in nessun altro posto al mondo esiste una tale incredibile variabilità di paesaggi, da mozzare il fiato. Si, vista dall’alto la nostra terra è proprio così.

Le cose cambiano al livello del suolo, perché la foto dell’amica in orbita inquadra quello che al momento è il pezzo d’Italia più povero, al fondo della graduatoria del reddito pro-capite. Come se non bastasse, alla povertà monetaria – è notizia dell’altro giorno – si accompagna quella civile e dei servizi: il primato negativo riguarda anche il sistema sanitario, il welfare è più debole qui, proprio dove ce ne sarebbe più bisogno. Anche il capitale umano si erode, se i nostri ragazzi non rimangono, vanno via per studiare, per riguadagnare una prospettiva attraente di vita, all’ombra di paesaggi probabilmente meno suggestivi ma tremendamente più sicuri e agganciati alla modernità.

Ma non sono queste le cose che più spaventano, quanto la mancanza di una reazione adeguata, di una strategia per uscire da questo brutto sogno. Le classi dirigenti sono in stallo. Siamo indietro con la programmazione dei fondi europei 2014-2020, il malato è così debole che non riesce nemmeno più a reclamare le risorse per il sossestamento. La pubblica amministrazione è in liquidazione, il governo e la cura del territorio in disarmo,  la bella terra fotografata da Astrosamantha, ci casca addosso, si sbriciola, è rovinata dagli abusi.

Eppure la foto dal cielo inquadra precisamente la città metropolitana che sta nascendo, un mosaico complesso del quale Napoli è solo un piccolo segmento. Quella foto sarebbe utile, se restituisse una prospettiva d’insieme, stimolasse nuove idee. La Spagna ha utilizzato questo decennio di crisi per riprogettarsi, rinnovare motivazioni e strategie, e ripartire. Un lavoro che sarebbe tanto più necessario qui, mettendo all’opera proprio quelle giovani energie ora costrette a fuggire. Perché l’Italia ha bisogno della foto di Astrosamantha, e di noi.

 

Astrosamatha

Ho partecipato lo scorso 27 febbraio ad un incontro sulle Problematiche urbanistiche della Città Metropolitana di Napoli e sul ruolo della Rigenerazione urbana organizzato dall’Ordine degli Architetti di Napoli.

L’incontro è stato trasmesso da Radio Radicale. Chi vuole, può ascoltare i miei interventi e quelli degli altri partecipanti al link: “Città metropolitana

Il programma dell’incontro

Intervento introduttivo: Salvatore Visone, presidente dell’ordine degli architetti PPC ( Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori) di Napoli e provincia. Intervengono: Aldo Loris Rossi (Urbanista), Antonio Di Gennaro (Agronomo), Almerico Realfonzo (Urbanista), Guglielmo Trupiano (Direttore del Centro Interpartimentale LUPT dell’Università Federico II), Mario Rosario Losasso (Direttore del Dipartimento di Architettura della Università Federico II), Gaetano Manfredi (Rettore dell’Università Federico II). Coordina e presiede il Presidente della Consulta urbanistica Vincenzo Meo

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