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Antonio di Gennaro, 6 aprile 2016

E’ la torre la parte più antica del Casale fortificato di Teverolaccio, la costruirono a fine ‘400 gli Aragonesi, a presidio di questo pezzo della piana aversana, allora mezzo spopolato, ma crocevia strategico tra Napoli e le città di Capua e Acerra. Attorno alla torre nacque poi il Casale, una cosa a metà tra l’avamposto militare e la grande masseria, sede baronale e fulcro per tre secoli dell’economia e della vita del feudo. C’era il mulino, la cantina, il macello, la taverna, la chiesa; nel cortile interno, ogni mercoledì, si teneva il mercato. Poi, dalla metà dell’800, inizia la decadenza, il casale si trasforma poco a poco in rudere, alla periferia di Succivo, nel frattempo cresciuta dai duemila abitanti di inizio ‘900, agli oltre ottomila di oggi.

La rinascita del Casale di Teverolaccio inizia una decina d’anni fa, con un intervento di recupero finanziato con i fondi europei, ma è soprattutto merito di un gruppo di ragazzi visionari e cocciuti, che ne hanno fatto uno dei più belli esempi di agricoltura sociale in Campania. All’ombra del bastione aragonese, nel giardino intercluso voluto dal principe Pignatelli, ora sono gli orti, ordinati come i giardini di un’abbazia, curati con dedizione assoluta da un gruppo di pensionati di Succivo. Accanto agli orti, il “Giardino dei sensi”, realizzato in collaborazione con l’UNESCO, un museo vivente dove puoi immergerti nei tanti colori e profumi della flora mediterranea. Ci vengono la domenica i bambini, a imparare le piante, a sporcarsi con la terra e i colori, a respirare la campagna. Nei locali dell’antica stalla poi, c’è la Tipicheria, una taverna accogliente dove puoi fermarti a gustare i vini e i prodotti della piana, elaborati secondo le ricette tradizionali, nel rispetto assoluto dei cicli colturali e delle stagioni.

Tutte le attività sono promosse da una cooperativa sociale, si chiama Terra Felix, nata con lo scopo di curare la terra, insieme alle persone che la abitano. Accanto ai volontari, e ai dieci ragazzi che svolgono qui il servizio civile, ci lavorano giovani dal passato difficile, e disabili che vengono inseriti nella rete multiforme di attività. Ma la colonna portante sono i diciannove nonni che curano gli orti, tremendamente arzilli, proprio come quelli del Bar Lume nei racconti di Malvaldi. Si chiamano Angelo, Pepereniello, Pasquale, Alfonso, le loro foto sono in bacheca, insieme all’elenco dei prodotti in coltivazione: lavorano come matti, seguono i ragazzi e i bambini, insegnano, imparano, si divertono.

Le risorse finanziarie per partire le ha messe la Fondazione per il Sud, ma qui capisci che non è dai soldi, per quanto necessari, che è nata l’avventura, quanto piuttosto dalle persone, da un’idea di riscatto del territorio, nel morale prima che nella scombinata intelaiatura fisica. Così, l’ordine, il disegno degli orti e dei giardini che cogli all’interno della corte medievale, diventa quasi la mappa, il progetto di paesaggio che si vorrebbe ristabilire, irradiare al di fuori del Casale, in ciò che resta della grande pianura.

Salgo le scale della torre antica, con Paola, Francesco e Antonio Pascale che queste cose hanno immaginato e tramutato in realtà, assieme a Geophilos, il circolo di Legambiente nato quasi vent’anni fa. Tira vento, è freddo, lo sguardo spazia nell’aria tersa ed allora scopri con apprensione che il lembo di campagna strepitoso che attornia il Casale costituisce alla fine solo un tenue, fragile corridoio tra le conurbazioni ruggenti di Napoli e Aversa.

L’obiettivo del Casale di Teverolaccio è quello di proteggere quanto rimane di questi suoli preziosi, di riordinare la città sconnessa, restituire un senso ai luoghi, puntando proprio sull’agricoltura, sulla riscoperta del territorio e delle persone che lo abitano, a partire da quelle più deboli, in debito di futuro. In questo modo, l’antico casale torna sorprendentemente a svolgere funzioni simili a quelle che aveva nel Medioevo, quando era il centro delle trame economiche, sociali e culturali che tenevano insieme le comunità e i territori.

I ragazzi e i vecchietti del Casale ci credono, e rilanciano. Le richieste sono tante, ed allora vorrebbero realizzare altri 55 orti sociali. Il progetto si chiama “Succivo, orto d’Italia”, e mi chiedo, tornando a sera in città, se sia solo agricoltura, o piuttosto un’idea ostinata di cittadinanza, di nuova solidarietà, della quale avvertiamo assolutamente il bisogno.

Pubblicato su Repubblica Napoli del 6 aprile 2016 con il titolo “Pensionati, disabili e ragazzi difficili: a Succivo si lavora nell’orto sociale”

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A Sorrento, un convegno organizzato dal Fondo ambiente italiano (FAI)  e dalla Associazione italiana di architettura del paesaggio (AIAP). Il taglio dell’iniziativa vuole essere concreto, incentrato sulle cose che si stanno facendo per il paesaggio in Campania. Sarà presentata la Scuola di paesaggio, un laboratorio che si svolgerà il prossimo maggio alla Baia d Ieranto, per l’apprendimento pratico delle tecniche di manutenzione dei nostri paesaggi storici: come si curano e si fanno vivere i terrazzamenti, i pergolati, gli arboreti tradizionali.

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Un incontro di riflessione sulla Laudato si, l’enciclica di Papa Francesco sulla cura della casa comune, organizzato dalla Delegazione di Napoli del Fondo Ambiente Italiano.

Interventi di Pasquale Colella, direttore della rivista Il Tetto, Antonio di Gennaro, agronomo territorialista,  Ugo Leone, presidente del Parco Nazionale del Vesuvio.

Sabato 5 marzo ore 17.00 – Casa Ascione, p.tta Matilde Serao, 19 (Galleria Umberto I)

Prenotazioni e informazioni: http://www.faiprenotazioni.it/eventi.php?delegazione=Napoli

Antonio di Gennaro, 10 dicembre 2015

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In un articolo apparso su Repubblica lo scorso 6 novembre (“Le metropoli della messa in scena“) Stefano Bartezzaghi svolgeva importanti considerazioni sul paradosso delle grandi città italiane (Milano e Roma in primis, ma il discorso riguarda anche Napoli), che sono diventate parte importante, nel bene e nel male, della narrazione pubblica, dello storytelling nazionale, con un ruolo predominante che viene però assegnato alle politiche simboliche, rispetto a quelle materiali che riguardano i funzionamenti di base: manutenzione urbana, prevenzione dei dissesti, mobilità, rifiuti ecc.

A ben vedere, anche la scelta dell’amministrazione comunale di Napoli di snobbare la cabina di regia su Bagnoli, rientra nelle politiche della “messa in scena”, con un conflitto tra poteri e una disputa sui principi, che sembrano svolgersi soprattutto a beneficio della campagna elettorale che verrà, piuttosto che tendere alla costruzione di una governance finalmente in grado di condurre in porto una trasformazione territoriale eccezionalmente complessa.

In tutta questa vicenda, il terreno sul quale l’attuale governo cittadino mostra particolari lacune, è quella della distinzione basilare tra le politiche (l’amministrazione della città) e la politica, al singolare, che riguarda invece la disputa per il governo della cosa pubblica. Diversa consapevolezza ha mostrato il sindaco di un’altra metropoli, Giuliano Pisapia, che ha prima collaborato fattivamente con il commissario Giuseppe Sala alla riuscita di EXPO, distinguendosi successivamente da esso, una volta iniziata la competizione elettorale. Nel far questo, Pisapia ha mostrato comunque di tenere ben diviso, nell’interesse della città, il piano dell’amministrazione, da quello della lotta politica, proponendosi di fatto come leader di scala nazionale.

A Napoli succede l’opposto, con un’intera città, il terzo sistema metropolitano d’Italia, che viene trascinato, per esigenze di messa in scena, all’opposizione del governo centrale, col solo effetto di marginalizzarlo sempre più rispetto ai processi decisionali che contano, riducendone peso e considerazione nelle politiche nazionali, dalle quali le aree metropolitane dipendono grandemente.

Un esempio sono i fondi per il dissesto idrogeologico, andati tutti alle aree metropolitane del centro-nord, in grado di mettere in campo una progettazione credibile, mentre noi eravamo intenti alla scrittura di uno statuto metropolitano tutto incentrato sull’immaginifica gestione dei beni comuni. Nel frattempo, la Facoltà di Veterinaria che si sbriciola in diretta, a beneficio di telecamera, svela tutta la fragilità del suolo sul quale poggiamo i piedi, assieme alla disperata precarietà del nostro vivere quotidiano, e all’inconsistenza di quelle politiche simboliche, della “messa in scena”, alle quali abbiamo scelto di affidare il nostro futuro.

Pubblicato su Repubblica Napoli dell’11 dicembre 2015 con il titolo “La messa in scena elettorale”

 

 

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L’ultimo patriarca (qui il link) il reportage di Carlo Franco pubblicato da Repubblica Napoli il 28 giugno, su Mario Angrisani, il frutticultore che sui ciglionamenti storici del Monte Somma, prosegue la coltivazione eroica della pellecchiella, l’albicocca più buona che esista al mondo. Grandi prodotti, grandi paesaggi, grandi persone.