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Un un altro piccolo pezzo del diario, scritto la scorsa settimana.

Antonio di Gennaro, 27 marzo 2020

L’emergenza è cattiva coi più deboli, rivalutiamo in questo momento il ruolo cruciale dell’assistenza, le chiacchiere sull’assistenzialismo le faremo dopo, se ci sarà ancora tempo e voglia. La frase ricorrente è che niente sarà più come prima, il problema è arrivarci, a Napoli e nelle città del Mezzogiorno c’è una fascia di famiglie che con la serrata dei servizi e del commercio è rimasta da un giorno all’altro senza alcun reddito, ed è un problema che è pure difficile misurare perché in questi settori il peso dell’economia informale, a nero, è grande.
Molti dei cuochi, camerieri, baristi, commessi, artigiani, muratori, manovali che hanno perso il lavoro non esistono, non risultano sui registri dell’economia ufficiale, e ha ragione il ministro Provenzano quando dice che è urgente immaginare qualcosa di nuovo per aiutare anche loro, i lavoratori dell’economia informale. Lasciando da parte l’ipocrisia, che ci spinge a tollerare il sommerso quando le cose vanno bene, anzi guai a toccarlo, perché è l’ammortizzatore che tiene in piedi l’economia meridionale, in assenza di politiche vere di riequilibrio economico e sociale.
La verità è che, a un mese dall’inizio della crisi, cresce di giorno in giorno il numero di persone e famiglie prive dei mezzi per far fronte ai bisogni elementari, accanto all’emergenza sanitaria è necessario affrontare quella sociale, e un’esperienza cui guardare è quella di Pomigliano d’Arco. Al profilarsi della tempesta il sindaco Raffaele Russo, che di mestiere è medico, ha convocato tutti i suoi dirigenti, chiedendo loro di sospendere l’attività ordinaria, e di mettere l’intera macchina comunale al lavoro sull’emergenza.
I servizi sociali, la polizia municipale, la protezione civile, le associazioni del terzo settore hanno dato vita a una struttura unica di coordinamento. A tempo record è stata creata un’anagrafe dei disabili, delle persone sole, disagiate. C’è un numero verde, e un centralino che ogni giorno contatta tutti, per raccogliere le esigenze, risolvere problemi, anche solo portare una parola, un conforto. I ragazzi che controllavano le strisce blu consegnano a casa la spesa agli anziani. Alle famiglie in difficoltà la spesa arriva gratis, i commercianti di Pomigliano hanno fatto a gara, mettendo a disposizione generi di prima necessità, mentre la Caritas organizza la “spesa sospesa” nei supermercati.
C’entra forse in questa capacità di creare rapidamente reti di solidarietà l’antica matrice contadina, e la robusta mentalità civica, che è un portato della grande industria. C’è anche una qualità amministrativa, la preveggenza di mettere nel bilancio della città risorse in proporzione rilevanti, un milione di euro, per i servizi sociali. Assieme alla capacità di rimanere uniti nei momenti difficili, il programma d’emergenza ha il supporto di tutte le forze politiche in consiglio comunale. “La cosa che più mi preoccupa” dice il sindaco Russo “è l’isolamento psicologico, la solitudine, la perdita di speranza dei più deboli.” Si, in qualche modo ce la faremo, ma il futuro per molti è diventato un rebus indecifrabile, tenere insieme le comunità è l’impresa più complicata.

 

Antonio di Gennaro, Repubblica Napoli 23 marzo 2020

Primavera non bussa, lei entra sicura, canta la Spoon River di De André, e schiudono le minuscole mani verdi dei germogli del tiglio sotto casa, ma è questa forse l’ora più buia, il pensiero che le cose che stiamo facendo possano non bastare ancora.

Chiusi in casa siamo in sei, una piccola comunità. I ragazzi seguono on line i corsi dell’università, ostentano calma, ma è difficile, a pranzo e a cena tutt’insieme, tenere la conversazione leggera, positiva, che non sia solo il rimestare discorsi spezzati intorno al flusso ininterrotto di immagini di guerra.

Mi sforzo di continuare il mio lavoro inessenziale, una riunione skype dopo l’altra, mando relazioni in giro, lunghe telefonate, mentre fuori la storia la stanno facendo medici e infermieri, i lavoratori dei servizi e delle produzioni strategiche, quelli che tengono comunque a posto la città, e lo Stato in piedi.

Viviamo tronfi con l’idea di cambiare almeno un po’ il mondo, ma è il mondo che cambia noi e ristabilisce in un attimo le priorità. Ci voleva una tragedia come questa per sospendere il patto di stabilità, per capire che è la vita, quella biologica e fragile, breve e preziosa, che va protetta, e non i flussi belli e morti di cartamoneta. L’ha scritto Eschilo duemilacinquecento anni fa, “… non è nulla una torre o una nave, se non abbia gente dentro, che sia deserta d’uomini”.

Ora sappiamo che l’obiettivo è proteggere le persone, in questo mondo tremendamente interconnesso, con le informazioni e i virus che si spostano in un batter d’occhio. Quei criteri stupidi d’efficienza, che ci hanno costretto a tagliare la sanità proprio dove ce n’era più bisogno, è evidente che dopo non comanderanno più, e non ci sarà nessuna mano invisibile a mettere a posto le cose, dovremo pensarci noi.

Lo dice bene l’editoriale di sabato del New York Times che  “… la soluzione necessaria è un grande accordo: il governo fornisce i soldi che le aziende non sono in grado di guadagnare e le aziende usano i soldi per mantenere i lavoratori sul libro paga… Inviare assegni a ogni cittadino. Prestare denaro a tutte le imprese. Rafforzare la rete di sicurezza sociale. Il rischio di fare troppo è notevolmente superato in questo momento dalle conseguenze del non riuscire a fare abbastanza.” Il punto di arrivo alla fine è Keynes. La Germania si sta muovendo così, senza indugio, un decimo del PIL viene messo a disposizione per uscire dalla crisi. “La risposta corretta in questo momento è questa “ chiude il NYT, “Tutte queste cose insieme”.

Antonio di Gennaro, Repubblica Napoli 16 marzo 2020

Addolora profondamente la deriva dell’Isola verde, l’Inghilterra e il suo popolo restano una parte importante di noi, anche quando non li capiamo, la democrazia moderna è nata lì, con qualche secolo d’anticipo sugli altri, la resistenza al nazifascismo, e comunque senza Shakespeare Dickens e Stevenson la vita non sarebbe la stessa. Con quella terra poi Napoli ha sempre avuto un rapporto particolare. Per questo fanno male le parole di Boris Johnson che suonano come l’annuncio sinistro di una democrazia in difficoltà, che rinuncia a difendere la vita della sua gente.

Lasciamo perdere la forza di carattere e Churchill, quel grande non era un ostinato, ma un leader che anche con le spalle al muro riusciva a inventare soluzioni, come evocare dal nulla una flotta privata per andare a salvare il suo esercito a Dunkirk. Il premier dai capelli gialli non ha nulla di tutto questo, la sua idea di giungere all’immunità di gregge attraverso il sacrificio di mezzo milione di persone non è una genialità, ma il ritorno al medioevo, le democrazie moderne usano vaccini, precauzioni, il potenziamento del servizio sanitario.

Fosse solo follia sarebbe meglio, e invece s’intravede il cinismo, il timore dell’attuale gruppo dirigente che l’isola non possa sopportare, oltre la recessione da Brexit (che si sta rivelando per quello che è, un drammatico azzardo), quella imprevista da coronavirus, ed allora avanti così, “business as usual”, sperando in questo modo di salvarsi. Per la resipiscenza non c’è tanto tempo, speriamo entri in azione a questo punto la massima di Lincoln (“Potete ingannare tutti per qualche tempo e qualcuno per sempre, ma non potete ingannare tutti per sempre”).

Per trovare una democrazia in funzione dobbiamo guardare all’Italia, il paese in prima fila in questa sfida globale, con un governo che pur tra errori e incertezze ha imbroccato la strada giusta, e una cittadinanza che sta vivendo con compostezza le limitazioni d’azione e libertà, regole severe di convivenza, sacrifici economici da tempo di guerra, nello sforzo di fare tutto il possibile per mitigare il rischio, il dolore, la perdita di vite umane.

E’ impossibile dire se ce la faremo, ma il mondo guarda a noi, alle cose che stiamo facendo. Per tutti questi motivi, la comunicazione pubblica dovrebbe ora dedicarsi agli aspetti cruciali, decisivi. E’ importante sapere in che modo i nostri amministratori stanno operando per rafforzare, in Campania e nel Mezzogiorno, la capacità del sistema sanitario di affrontare il picco di infezioni, se e quando verrà. Quanti posti letto in terapia intensiva, quanti medici, quanti laboratori, quali soluzioni organizzative. Sono queste le conoscenze da condividere, per affrontare al meglio queste giornate difficili, la guerra d’Italia si decide qui.

Antonio di Gennaro, Repubblica Napoli 2 marzo 2020

E’ vero, non tutto ha funzionato come doveva, eppure in questi giorni è netta la sensazione che se il Paese regge è merito dello sforzo titanico che gli uomini della sanità pubblica, con i mezzi che hanno a disposizione, stanno compiendo.

Intervistato per questo giornale da Giuseppe Del Bello, il direttore del laboratorio di Virologia dell’Azienda dei Colli, Luigi Atripaldi, ha descritto il lavoro al limite che la sua struttura – 10 unità in tutto – svolge per realizzare le centinaia di tamponi che giungono. A chi gli parla di inefficienze Atripaldi risponde a muso duro che sono critiche ingiuste “Noi in ospedale facciamo la nostra parte con notevoli sforzi, mettendoci a disposizione dei pazienti, ma è necessario che tutti i cittadini in ansia per il coronavirus siano informati a dovere”. Prima di reclamare test non utili, o di prendere d’assalto i pronto soccorso, come è successo al Cotugno.

E’ lo stesso racconto da nord a sud, le notti in ospedale di Maria Rita Gismondo, la direttrice del laboratorio di Microbiologia del Sacco di Milano, criticata sui social dal collega Burioni solo per aver suggerito un po’ più di misura nel parlare della malattia; o il lavoro non stop dell’equipe di quaranta medici del San Matteo di Pavia, quelli che curano il “paziente uno”, l’unico organismo giovane per ora realmente in pericolo di vita, la cui guarigione avrebbe una portata simbolica che è difficile sminuire.

A chi gli chiede chi glielo ha fatto fare, Walter Ricciardi, già nostro rappresentante presso l’Organizzazione Mondiale della sanità, e da pochi giorni super consulente del ministro alla salute Speranza, risponde che ha accettato “… perché ritengo che ora ci si debba mettere al servizio del Paese, che è in un momento difficilissimo. Io sono un medico di sanità pubblica e questo è il mio mestiere.”

Appunto, la sanità pubblica, sarebbe a dire una delle conquiste della contemporaneità, l’idea di garantire la salute universale, e che ciò sia compito dello Stato. Su questo l’opinione di Ricciardi è chiara: “L’Italia ha una debolezza: il sistema è frammentato, è in mano alle Regioni e lo Stato ha solo ruoli limitati. In tempi normali questo è anche accettabile ma in tempi di epidemia come questo può avere effetti letali.”

Senza voler tirare in ballo la ramazza di Manzoni, non è proprio il caso, è vero che la difficile esperienza collettiva che stiamo vivendo è un momento di verità, nei confronti ad esempio del liberismo ideologico dello Stato visto come principale nemico, dell’individualismo gretto che salva, del disprezzo delle competenze. E una differenza c’è anche tra noi e l’immenso romanzo di Don Lisander, dove lo Stato come progetto collettivo proprio non c’è, e la storia è tutta una tragedia di prevaricazioni ottuse e santità individuali.

Gli uomini della sanità pubblica in questi giorni difficili invece parlano come membri di un sistema, giocatori della stessa squadra. Secondo Fausto Baldanti del san Matteo di Pavia “qui è in corso il più gigantesco sforzo messo in campo dall’Occidente contro questa infezione nuova. Ancora non la conosciamo e lei non conosce noi. Da qui nascono potenzialità della diffusione e potenza della paura.”

C’è in queste parole tutta l’accettazione adulta della complessità, del rischio, della sfida dura della vita, senza colpevoli da additare, semplificazioni da sbandierare. Come vaccinazione, almeno contro il populismo becero, dovrebbe bastare.

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