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Antonio di Gennaro, Repubblica Napoli del 23 dicembre 2020

I numeri più cattivi sono quelli dentro il rapporto Svimez 2020, ripresi nel documento “Check-up Mezzogiorno” che Confindustria ha presentato nei giorni scorsi: la mazzata del Covid sulle economie del Nord e del Mezzogiorno è percentualmente simile, un po’ peggio al Nord, dove il Pil perde il 9,8%, contro il 9% del Sud. A fare la differenza è la capacità di ripresa, con il tasso di crescita nel prossimo biennio che sarà quattro volte maggiore al Nord rispetto al Mezzogiorno. Un pezzo d’Italia ripartirà, un altro resterà al palo e così, per usare le parole Svimez, la ripresa sarà segnata “dal riaprirsi di un forte differenziale tra le due macro aree”.

E’ evidente che il Recovery Plan, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, dovrebbe servire a questo, a mitigare il più possibile questo disastro annunciato, ma le anticipazioni che trapelano non sono rassicuranti, mentre il senso di spaesamento aumenta.

«Nel Recovery c’è a disposizione molto cemento per le costruzioni e le pale eoliche, meno per quello che può evitare la disgregazione sociale. Piuttosto che concentrarsi sulla ripresa, quei fondi dovrebbero essere utilizzati per tenere insieme la società». Sono le parole dell’economista Tito Boeri nell’intervista a La Stampa dello scorso 21 dicembre. Secondo Boeri “La priorità sono i concorsi scolastici, l’assistenza medica sul territorio, i ristori per i commercianti. Se lo Stato si mostrasse capace di spendere bene quei soldi sì, sarebbe una buona spesa».

Le conclusioni cui giunge l’ex presidente dell’INPS sono in linea con quelle finali del Rapporto Svimez, con la priorità innanzitutto di riavviare “un percorso sostenibile di riequilibrio nell’accesso ai diritti di cittadinanza su tutto il territorio nazionale: salute, istruzione, mobilità”, seguita dalla definizione di un disegno unitario di politica industriale nel quale il Sud giochi il suo ruolo.

In tutto questo discorso, quello che la pandemia ci ha insegnato è che non è più possibile contrapporre, sulla base di una ideologia assai rozza, le spese per i servizi essenziali agli investimenti, con i primi a fare da zavorra e i secondi da volano, perché è vero il contrario, e i cittadini europei lo hanno sperimentato in questi mesi: cose come la scuola e la sanità sono al centro dell’economia degli stati e delle famiglie, quando vanno in crisi cade giù tutto, e i sistemi più resilienti sono quelli dove l’offerta di questi servizi è più alta e qualificata.

E’ per questo che non riusciamo a sentirci del tutto rassicurati dalle parole del presidente Conte ai due recenti convegni dedicati al settantennale della Cassa per il Mezzogiorno e alla presentazione del Rapporto Svimez 2020 citato in precedenza dove, come un coniglio dal cilindro, ha tirato fuori un progetto Agritech per Napoli e l’Alta velocità fino a Bari e Reggio Calabria, cose utili a titolare articoli di stampa, assai meno a colmare le differenze economiche e sociali tra i territori e tra le persone, che il Covid ha ulteriormente divaricato.

Tanto più se questa logica da “grandi progetti” è affidata a super-poteri manageriali, unità di missione e altre cose di questo genere, che Napoli ha già sperimentato in questi ultimi cinque anni con il recupero di Bagnoli, dove un commissario c’è già, e pure un soggetto attuatore (Domenico Arcuri con la sua Invitalia), ma tutto resta in altissimo mare, come la relazione della Corte dei Conti di inizio dicembre ha impietosamente certificato, fotografando le criticità, i ritardi, l’assenza ancora di un percorso attuativo e finanziario credibile.

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