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Antonio di Gennaro, 28 giugno 2014

Lo scorso giovedì 26 giugno, a Città della Scienza, ho avuto la fortuna di partecipare alla giornata di studio organizzata da Pandora. E’ un gruppo indipendente di esperti di molteplici discipline, coordinato da Paola Dama, ricercatrice presso l’Università dell’Ohio. L’obiettivo è quello di contribuire ad una migliore conoscenza della crisi ambientale della Piana campana, alla definizione di strategie efficaci di intervento, ad una corretta comunicazione e divulgazione delle informazioni.

Ho ascoltato interventi di altissimo livello, ne ricordo solo alcuni.

Sandra Fabbri Monfardini ha spiegato assai bene i meccanismi con i quali i media possono veicolare messaggi distorti, squilibrati, infondati su un tema caldo come quello della Terra dei fuochi, lavorando tutto sull’emotività, disinnescando sostanzialmente i cervelli.

Salvatore Panico ha illustrato con magistrale chiarezza i risultati di programmi di ricerca internazionali e nazionali, cui ha preso parte, che giungono ad una stessa conclusione: il rischio di ammalarsi  di tumore dipende da tante cose, ma contano molto gli stili di vita, che risentono molto a loro volta del livello di istruzione e delle condizioni sociali ed economiche. A parità di condizioni, i poveri rischiano di ammalarsi di più, ed hanno aspettative di vita inferiori. Certo anche l’ambiente ha un ruolo importante, ma viene dopo. La conclusione è che dobbiamo con urgenza, a prescindere da ogni altra considerazione, riqualificare e mettere in sicurezza il territorio. Ma se vogliamo risolvere il problema alla radice, occorrono politiche serie per abbattere le diseguaglianze, il disagio, la povertà, il bisogno.

Mario Fusco ha illustrato i dati del Registro tumori dell’ l’ASL 3 Napoli Sud, che dirige, e che comprende 1,2 milioni di abitanti della Piana campana. Una volta di più ha chiarito come l’incidenza delle malattie tumorali nell’area, da che erano più basse, si stiano allineando alle medie nazionali. La mortalità per tumore invece, seppur in discesa, è più alta della media nazionale, che sta diminuendo ad una velocità più elevata.  Questo scarto tra incidenza e mortalità chiama in causa la mancata prevenzione, le prestazioni carenti del sistema sanitario rispetto ad altre parti del paese. Ad ogni modo, per capire qualcosa, è necessaria un’analisi “microgeografica” dei dati, che si sta compiendo alla scala delle singole particelle censuarie, perché le medie comunali e territoriali non raccontano niente, anzi, forniscono informazioni fuorvianti.

Massimo Fagnano ha aggiornato i presenti sui controlli previsti dal decreto “Terra dei fuochi”, e di quelli condotti da Università e Istituto zooprofilattico. I risultati conseguiti sino ad oggi evidenziano come il ruolo della filiera agricola sia stato del tutto travisato. Su più di 1.500 controlli di prodotti agricoli, neppure uno è risultato fuori legge. Quello che emerge, è che l’agricoltura della piana campana, nella crisi che stiamo affrontando, rappresenta un fattore di sicurezza e di presidio, piuttosto che un centro di rischio.

Oltre a questi, tanti altri interventi di rilievo. Penso che saranno presto disponibili in rete. E’ stata una giornata di lavoro impegnativa. Sono tornato a casa molto affaticato. Grato per aver appreso da persone serie e rigorose alcune cose, assolutamente fondamentali per capire. Grazie a tutte queste persone, grazie a Pandora.

p.s. Sono intervenuto anch’io. Le cose che ho detto sono quelle raccontate su Horatiopost, sulla dimensione territoriale della crisi. Penso si integrino bene con quelle che ho ascoltato nella giornata di studio del 26 giugno, a Città della Scienza.

Il disegno di Pandora di Hugo Pratt è tratto da http://www.cortomaltese.com

Pandora

Antonio di Gennaro, 23 giugno 2014

Calma, non è successo niente. Cacciate via quel senso di smarrimento che può avervi preso a leggere di un nuovo sensazionale piano per la Terra dei fuochi (secondo “Il Mattino” del 23 giugno, “la più grande operazione di controllo e recupero di aree agricole nella storia repubblicana”, perbacco!).

Non è proprio il caso, perché il nuovo piano è identico al precedente: la minestra riscaldata è stata servita in stoviglie scintillanti, ma il sapore è lo stesso.

Quello che è accaduto in realtà è un regolamento di conti tra amministrazioni dello Stato: d’ora in poi sarà il Corpo forestale, come anelava da tempo, e non più l’Agea, l’ente nazionale che eroga i fondi agricoli europei, a coordinare i controlli previsti dal decreto Terra dei fuochi, con il centro operativo che sarà insediato a Castel Volturno, dove la forestale ha una sua struttura nazionale di formazione.

Anche l’annunciata introduzione di un meccanismo volontario di certificazione della sanità dei prodotti non è una novità, perché è già stato messo in piedi dall’Assessorato all’Agricoltura e dall’Istituto zooprofilattico, con l’utilizzo del “Qr Code”, quel geroglifico in etichetta che attraverso lo smart phone fornisce al consumatore tutte le informazioni analitiche sul prodotto.

Certo, la vicenda potrebbe avere risvolti positivi, se il Corpo forestale sarà finalmente chiamato ad attenersi al protocollo definito dal Gruppo di lavoro nazionale, ponendo così fine ai sequestri immotivati di aree agricole, come quelli di Caivano, dove attività fiorenti sono state stroncate, salvo poi scoprire che i prodotti erano sani, e che i contenuti anomali di elementi nei suoli erano quelli del valore di fondo naturale della pianura vulcanica campana.

Quel che ancora manca, nel pieno stile delle politiche placebo, così di moda in questi tempi di vacche magre, sono le risorse, gli stanziamenti necessari al finanziamento del sistema di certificazione e controllo. I risultati delle analisi sono stati annunciati per il prossimo autunno, a un anno di distanza quindi dall’emanazione del decreto Terra dei fuochi. Vedremo. La sensazione è che la crisi della piana campana, come tutte le sciagure collettive,  sia stata oramai pienamente metabolizzata dall’apparato burocratico. Una sorta di “Belice ambientale”, buono a  mantenere in vita gli apparati preposti, del quale difficilmente a questo punto conosceremo la fine.

L’articolo, in una versione ridotta, è stato pubblicato su Repubblica Napoli del 24 giugno 2014, con il titolo “Il piano è sempre lo stesso”.

Antonio di Gennaro 21 giugno 2014

Non poteva essere altrimenti, considerato il suo larghissimo utilizzo nel discorso pubblico: l’espressione “Terra dei fuochi” è entrata di diritto nel vocabolario Treccani, tra i neologismi. La voce è consultabile al link:

 http://www.treccani.it/vocabolario/terra-dei-fuochi_(Neologismi)/

Si tratta di un classico esempio, in senso tecnico, di luogo comune, di espressione che sintetizza un insieme di credenze oramai socialmente condivise, di immediata comprensione, che non è più necessario sottoporre a verifica. Ma anche di stereotipo, di conoscenza “solida” stando all’etimo: un giudizio sintetico su un fenomeno complesso, estremamente utile per dare un senso alla realtà complicata nella quale viviamo, addirittura indispensabile nella comunicazione di massa, tutte le volte che è necessario rassicurare o all’opposto inquietare, persuadere, creare autorevolezza, dipendenza, consenso. Dallo stereotipo al pregiudizio il passo è breve, il passaggio dal livello cognitivo all’attribuzione di valore, alla formazione di un atteggiamento, di un giudizio su tutto un contesto e sull’insieme dei gruppi sociali e delle comunità ad esso collegati.

Un perfetto esempio dell’impiego odierno del luogo comune lo ha fornito il commissario dell’Arpac Vasaturo nella sua intervista al Mattino del 18 giugno scorso. Basta il titolo: «C’è un’altra Terra dei fuochi, analisi su Costiera e Cilento». Il meccanismo è questo: ci sono problemi locali che una burocrazia ambientale sbilenca e tendenzialmente screditata è chiamata ad affrontare: le emissioni di un certo impianto industriale, l’identificazione di un sito di probabile sversamento. Ma per creare sensazione, interesse, visibilità del proprio ruolo non è sufficiente chiamare le cose con il proprio nome. Meglio agganciarsi alla potenza del luogo comune. Che fingendo di spiegare, al contrario, amplia a dismisura il problema, creando nel contempo le premesse per la sua perpetua non-soluzione, e il mantenimento in vita del carrozzone burocratico preposto. E’ una brutta situazione, non ne usciamo più.

Antonio di Gennaro, 4 giugno 2014.

Strana cosa la burocrazia: nelle democrazie normali è lo strumento ordinario, magari un po’ pedante ma affidabile, per risolvere i problemi collettivi, nel rispetto della legge. Da noi no, è un labirinto, un incubo kafkiano, uno specchio oscuro dove le cose si confondono, le soluzioni si allontanano, la fiducia dei cittadini si perde. All’emanazione del decreto “Terra dei fuochi” avevamo scritto su questo giornale che si trattava di un provvedimento strampalato, con un’architettura barocca, sarebbe a dire inutilmente complicata e priva di sostanza. Con un aspetto decisivo di debolezza: la mancanza di copertura finanziaria, perché le risorse necessarie allo svolgimento delle attività previste, semplicemente non c’erano.

Una pletora di enti ed istituti al lavoro, e zero soldi. Il clamoroso stop alle indagini annunciato ieri è dovuto semplicemente a questo. Anche riguardo alla possibile presenza di rifiuti radioattivi, non ci sono informazioni nuove, o nascoste. Il protocollo del gruppo di esperti già prevedeva, tra le indagini preliminari sui 64 ettari agricoli a maggior livello di rischio, quelle radiometriche, ma il problema è che non si capisce chi dovrebbe farle e con quali soldi. Mentre, per inciso, i risultati delle analisi effettuate sino ad oggi sulle produzioni agricole coltivate in queste aree, hanno confermato una volta di più la loro completa sanità.

Il fatto è che lo Stato è sceso in campo senza una strategia unitaria, con i diversi settori dell’amministrazione – quello sanitario, ambientale ed agricolo – all’opera ciascuno per proprio conto, perseguendo obiettivi differenti, utilizzando approcci differenti, addirittura riferendosi a pezzi di legislazione differenti. Con un atteggiamento che è oscillato tra la competizione e lo scaricabarile furbesco, come se il problema, le soluzioni e le risposte da dare non dovessero avere aspetti fortemente unitari.

Quanto alla Regione Campania, ha perso una grande occasione. Invece di ripararsi sotto il cappello governativo, avrebbe potuto assumere la regia delle operazioni, accollandosi certo grandi responsabilità (e i relativi costi), con la possibilità però di ritrovare sul campo la credibilità perduta. La prudenza (e un certo cinismo) ha prevalso. Il risultato è che ora la burocrazia mostra il volto decisamente peggiore: quello dell’elusione, dell’indecisione, dell’approssimazione.

Il momento è difficile. Giunge a questo punto propizio l’appuntamento di sabato 7 giugno della Repubblica delle Idee: al Teatrino di corte, Carlo Petrini e Marino Niola, moderati da Ottavio Ragone, si confronteranno in un dibattito dal titolo “Campania Felix: oltre la terra dei fuochi”. Sarà una buona occasione per fare il punto sulla situazione, partendo dagli eccezionali valori, dalle grandi tradizioni in gioco, da una visione di futuro ancora possibile per questa terra, tutte cose che meriterebbero ben altra concretezza, spirito di servizio, coraggio.

Pubblicato su Repubblica Napoli dell’11 giugno 2014 con il titolo “Terra dei fuochi: lo Stato è scoordinato, ogni amministrazione segue la sua strada”.

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