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Antonio di Gennaro, Repubblica Napoli del 19 aprile 2017

Il boom di presenze nel fine settimana pasquale ha confermato, semmai ci fosse ancora qualche dubbio, il momento straordinario del turismo in città, con l’assalto al centro storico, ai musei e ai siti d’arte, ed è indubbiamente un bel vedere dopo gli anni mesti, quando eravamo ridotti a semplice strapuntino per le visite a Pompei, in Penisola e alle Isole del Golfo.

Per tutta una serie di motivi (l’impraticabilità per ragioni di sicurezza delle mete mediorientali e del Nord Africa, ma anche delle città europee colpite dal terrorismo; le performance assai potenziate dell’aeroporto), i flussi turistici nazionali e internazionali hanno riscoperto Napoli. Gli investitori privati hanno fiutato il vento, incrementando spontaneamente l’offerta turistica capillare dei mille B&B, ma anche dei fitti di breve periodo per i turisti.

Una miriade di bar, trattorie, friggitorie, macellerie e pescherie riconvertite allo street food, offrono vitto e ristoro senza soluzione di continuità, dalla prima mattina fino a notte inoltrata. Il passa parola sul web ha contribuito ad amplificare e diffondere la tendenza; il patrimonio, la bellezza e la personalità unica della città hanno fatto il resto.

Marcello Anselmo ha ben raccontato nei suoi reportage per Napoli Monitor come tutto questo abbia condotto, in una porzione definita del centro storico – il centinaio scarso di ettari tra i decumani, dai Quartieri sino a via Duomo, passando per la trasversale di via Toledo – ad una vera e propria riconversione urbanistica “dal basso”, con la ristrutturazione degli alloggi e dei servizi, sulla base delle specifiche esigenze di questo nuovo tipo di turismo, in una versione riveduta e corretta dell’antica economia del vicolo. Il tutto in assenza, anzi a  prescindere, di specifiche politiche pubbliche, dove il motore è costituito invece dalla miriade di investimenti di piccoli e medi attori privati, piuttosto che di grandi gruppi o catene specializzate.

Il risultato, comunque sia, è che le attività legate al turismo crescono nell’area napoletana al ritmo del dieci per cento l’anno, non c’è indubbiamente un altro settore economico che possa vantare prestazioni e prospettive simili, e sono molte le domande che a questo punto si pongono, sull’impatto reale di questo nuovo turismo sull’economia della città; sulla sua natura di fenomeno strutturale ovvero contingente; sul destino della miriade di trasformazioni immobiliari ed iniziative imprenditoriali, nel caso in cui la bolla turistica dovesse a un certo punto scoppiare.

E’ questo anche il momento per interrogarsi sul ruolo che le politiche pubbliche, sino a questo momento assai labili, possono avere per governare e consolidare il processo, coinvolgendo altre prestigiose risorse della città, i quartieri storici rimasti al margine dei flussi, risalendo dal porto e dal lungomare fino alla cintura verde dei grandi parchi collinari, da Astroni, ai Camaldoli, a Capodimonte. Una qualche regia è necessaria, per mitigare le esternalità che il turismo, come tutte le attività economiche, può comunque generare, in termini di usura e stress del capitale territoriale e sociale, al di là dei benefici economici e occupazionali diretti. Soprattutto, per evitare di dover prender atto a cose fatte, come successo a Firenze o a Venezia, della mutazione di pezzi importanti di centro storico, in parchi a tema svuotati, ad uso e consumo dell’Homo Turisticus teorizzato dall’antropologo Duccio Canestrini.

Sono tutte domande alle quali è difficile dare una risposta. Un aspetto rilevante, è certamente costituito dall’effetto positivo che la riscoperta turistica di Napoli ai tempi dei social ha già avuto sulla reputazione globale della città, che è comunque una risorsa  dalla quale ripartire. Per il resto l’importante è restare coi piedi per terra, e restituire ad ogni cosa la giusta dimensione e rilevanza.

La porzione di città maggiormente interessata dal nuovo turismo è grande meno di un centinaio di ettari, sarebbe a dire meno di un centesimo del territorio urbano complessivo. E’ evidente che la terza città d’Italia non può ridursi a vivere di questo, rimanendo comunque qualcosa di più grande, diversificato e complesso di un pezzetto grazie a Dio rivivificato di centro storico. Tenuto conto che nel frattempo, la dotazione di servizi essenziali per il cittadino normale, che con l’Homo Turisticus alla fine ha poco a che fare, parliamo di trasporti, istruzione, tempo libero, assistenza alla persona, si è ridotta al lumicino, in presenza del livello di tassazione locale più elevato d’Italia.

La rivitalizzazione economica delle periferie, tutt’intorno alla piccola area beneficiata dai nuovi flussi, segna il passo, e la città continua a perdere abitanti, sono andati via in duemilatrecento nell’ultimo anno, ventiseimila nell’ultimo decennio, come fosse stato evacuato per intero un quartiere come Bagnoli o Posillipo.

Questi indicatori di declino vanno messi sul tavolo, insieme a quelli certamente più esaltanti sul turismo, in una valutazione complessiva, più realistica dello stato della città. La web reputation e le politiche simboliche vanno senz’altro bene, sono un passo avanti dal quale tutti ci sentiamo confortati, ma è ora indispensabile accompagnarle ad una robusta iniezione di politiche strutturali, rivolte questa volta all’intero territorio, all’intera comunità di cittadini e abitanti.

(Pubblicato con il titolo “Flussi benefici solo sul centro”)

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