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Barbara Ardù, la Repubblica del 15 marzo 2017
Lo Stato mette in vendita 8mila ettari coltivabili
Se non il lavoro, almeno la terra. Che è bassa, dura, a volte crudele, ma che, messa in mano ai giovani, potrebbe trasformarsi in risorsa economica. È anche a partire da questo semplice ragionamento che il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina darà il via a una delle più grandi vendite di terre pubbliche. Si parte con ottomila ettari che verranno collocati a partire da oggi.
CAMPI, piccoli appezzamenti incolti o già coltivati. E gli under 40 avranno un accesso privilegiato all’asta. D’altra parte, i laureati in Agraria crescono (gli iscritti nell’anno accademico 2015/16 sono saliti del 20 per cento rispetto a dieci anni prima), aumentano le esportazioni di prodotti agricoli, il made in Italy tira e l’imprenditorialità giovanile nel settore primario è più vivace che mai, soprattutto al Sud (dove sono nate più di 20mila aziende costituite da ragazzi nei primi mesi del 2016).
Tornare alla terra, per i giovani, sempre più spesso è anche una scelta di vita, per dire basta a lavoretti, voucher e anni di studi buoni, a volte, solo per andare all’estero. Mentre l’Italia invecchia e nei campi rimangono gli anziani, tant’è che spesso c’è un problema di ricambio generazionale. I figli sono andati via, in fabbrica o negli uffici. Oggi ci sono i nipoti, per i quali, però, i cancelli delle fabbriche e le scrivanie sono sempre meno.
Gli ottomila ettari di terreno che oggi verranno messi all’asta saranno i primi, ma non gli ultimi. Perché nasce per la prima volta in Italia una Banca delle terre agricole nazionali, ora frammentate tra Demanio, Ismea, Regioni, Province, Comuni e istituzioni varie.
«La Banca può rappresentare uno strumento fondamentale — dichiara il ministro Martina — per rispondere alla richiesta di terreni e per valorizzare meglio il patrimonio fondiario pubblico ». Ma sempre con una corsia preferenziale per i giovani, cui il bando offre vantaggi per l’acquisto e la conduzione dell’azienda.
Tant’è che all’asta possono partecipare tutti: non solo chi è già coltivatore diretto, bensì chiunque abbia in testa l’idea di coltivare o allevare animali. Anche un laureato in Agraria o un ragazzo che, dopo aver acquisito competenze in chimica o in agricoltura, decida di mettersi in proprio, può tentare. Dovrà iscriversi come imprenditore, ma sarà esonerato per tre anni dal versare i contributi previdenziali.
E non sono pochi i vantaggi di partenza studiati appunto per gli under 40: l’acquisto può essere finanziato con un mutuo a un tasso più basso di quelli di mercato. Gli investimenti, dalle stalle ai macchinari, potranno contare su prestiti a tasso zero, mentre gli aiuti europei sono aumentati del 25 per cento.
Di più. La burocrazia, nelle intenzioni del ministero, dovrebbe essere abbattuta. Ci sarà un sito ad hoc, sul portale del ministero, che darà una schermata dell’Italia. Da lì si potrà navigare seguendo due indicatori: l’ampiezza della terra che si cerca o la Regione dove si va a caccia di suolo. Il primo clic lo farà questa mattina il ministro Martina. Poi l’accesso sarà libero, basterà registrarsi per vedere cosa c’è in vendita, con tanto di valore catastale e tipo coltivazione.
Non è la prima volta che lo Stato mette in vendita terre. Tre anni fa, l’agenzia del Demanio lanciò il progetto Terrevive. E andò bene. Federico Ninivaggi, oggi 38 anni, agricoltore alla terza generazione, acquistò 66 ettari nel brindisino a carciofi e cereali. Ma in testa aveva tutt’altro progetto: piantare melograni. Si è associato con altri 24 produttori per vendere il prodotto in tutta la Ue. Le prospettive? «Conto di fatturare 2 miliardi — dice oggi soddisfatto — e impiegare a regime 160 persone». All’asta erano in 27, l’ha spuntata lui. In Toscana un giovane veterinario, 23 anni, s’è aggiudicato 88 ettari a Monticiano per farvi un allevamento. Chianina? No, cinta senese e asinelli amiatini.
Giampaolo Visetti, La Repubblica 28 gennaio 2017
Corinne Santaniello ha 19 anni e non ha aspettato. Appena esce dalla scuola sale in bici e va dalle sue rose. Pianta, taglia, pulisce, bagna e quando è il momento raccoglie i petali carnosi. Le servono per macerare aceto e caramellare zucchero profumato. Non possiede terra: gliela prestano gli amici, in cambio della bellezza di un giardino fiorito. Ha cominciato quindicenne e tra pochi mesi, dopo la maturità agraria, vuole mettersi in proprio. Avere presto un’idea fa la differenza. «Punto sulle rose in cucina — dice — ma anche come cosmetico. La natura mi offre la possibilità di esprimere una personalità ». Il problema è che i due terreni riservati ai fiori sono ai capi opposti della periferia di Padova, dove vive. Uno verso Vicenza, l’altro in direzione di Rovigo. I compiti li finisce di notte. «Un giovane — dice — non ha i soldi per acquistare una campagna comoda. O trova qualcuno che gliela presta, oppure non può fare il contadino e dare una mano in casa ». Per questo, assieme a migliaia di coetanei, la sua speranza oggi si chiama “Banca della terra”. Alcune regioni stanno avviando i primi esperimenti, ma il Veneto ha appena approvato le regole attuative ed entro la primavera inaugurerà la rivoluzione italiana dei “giovani senza terra”. Le superfici non coltivate saranno affittate a chi è disposto a recuperarle alle colture. Per la prima volta, oltre agli enti pubblici, anche i privati saranno invitati a mettere a disposizione i terreni abbandonati. Nei bandi d’assegnazione i ragazzi avranno la precedenza. «L’obbiettivo — dice l’assessore veneto all’agricoltura Giuseppe Pan — è offrire un’opportunità ai giovani che vogliono tornare in campagna, sottrarre all’abbandono e al degrado aree che rovinano il paesaggio». La crisi economica, per una volta, aiuta. La generosità dell’agricoltura si rivela più forte dei limiti di globalizzazione e robotica: i conti tornano, i figli succedono ai padri. In Italia sono 50mila le aziende agricole under 35, quelle condotte da un contadino sotto i quarant’anni sono oltre 1,1 milione. Il nostro Paese è leader Ue: una nuova impresa su dieci, guidata da un giovane, produce cibo. Nel 2016 le start-up agricole avviate da under 30 sono state 7.569. Per chi non eredita la terra resta però lo scoglio del capitale necessario per acquistarla, o della liquidità per avviamento e affitto. «Sapere che ci sono meravigliose idee contadine che muoiono assieme a terreni inselvatichiti — dice Marcello Gottardi — fa male. La terra non coltivata è come un’auto ferma in garage: dopo un po’ non riparte più».
Anche lui, laureato in Agraria, ha anticipato la “Banca della terra”. A San Michele, vicino a Bassano del Grappa, recupera alle vigne le colline invase del bosco e dai sassi. Un po’ di terra l’avevano comprata i genitori, quella che manca per «stare in piedi» l’affitta lui. «Una famiglia nobile — dice — non la lavorava più. Piuttosto che vederla diventare sterile, dopo secoli, me l’hanno ceduta in cambio di cura». Ha 26 anni e il suo vino si chiama “Musso”, asino in dialetto. Possiede realmente tre bestie, Serafino, Pomea e Burrito, incaricate di rasare l’erba sotto gli erti piantati di olivi. Sono i prodigi biologici dell’appetito animale. «Pubblici e privati che lasciano i terreni in abbandono — dice — promuovono una speculazione al contrario che danneggia la collettività. Lo fanno in attesa di un cambio di destinazione d’uso, o dopo che la crisi ha sottratto redditività a edilizia e industria. A perderci sono la fertilità, la sicurezza idrogeologica, la protezione dagli incendi, la produzione alimentare e la bellezza del paesaggio: oltre ai giovani che vogliono tornare alla terra per dare un senso alla vita».
Nel Veneto che candida la culla del prosecco a diventare patrimonio dell’umanità tutelato dall’Unesco, il 2% della superficie coltivabile è abbandonata. Oltre 810mila ettari non vengono curati da oltre dieci anni. Secondo la Coldiretti regionale almeno 15mila ettari possono essere «versati» subito nella nuova “Banca della terra”, offrendo una chance di lavoro a 3mila giovani. I primi 40 ettari, tra cui alcuni sequestrati alla criminalità, sono già pronti per essere assegnati per i prossimi quindici anni. Chi vincerà le aste dovrà coltivare direttamente i terreni «in prestito». «Resta il problema dei tempi — dice Marcello Gottardi — nel caso di una vigna i primi sette anni occorrono per preparare fondo e piante. Un giovane deve avere un orizzonte più lungo: per farcela devi vendere prima di produrre ed essere completo, dall’analisi chimica al marketing». La pazienza occorre per tutti gli alberi da frutto.
A Silea, nel Trevigiano, il trentenne Simone Serafin ricava olio dalle nocciole. Un solo ettaro, ma il successo è tale che per soddisfare i clienti ne servirebbero molti di più. Se Regione, Comuni e privati confinanti con lui riusciranno a sottrarre un po’ di terra al cemento o alle ortiche, o alla speculazione dei colossi di credito e assicurazioni, gli serve la garanzia che il noccioleto possa crescere secondo il ritmo della natura. «Una lunga battaglia — dice Alex Vantini, 25 anni, coltivatore di kiwi nel Veronese e leader regionale dei giovani di Coldiretti — rischia di essere persa a causa della burocrazia. I Comuni devono accelerare il censimento dei terreni incolti, ma pure porre condizioni d’affitto realmente sostenibili». Nessuno lo dice, ma come nel resto d’Italia la “banca verde” che vuole «fare credito» ai neo ragazzi “senza terra”, anche qui lotta contro nemici invisibili. Tutti entusiasti, a parole. Poi le pratiche, spinte dai silenzi politici, finiscono nella tomba dei cassetti dei burocrati. La legge che in Veneto ha dato il via libera, dopo che i giovani erano scesi in piazza per reclamare la terra che nessuno cura, è dell’estate 2014. Solo a fine dicembre però il consiglio regionale ha approvato le norme attuative. «Grazie alla spinta dal basso — dice Luca Motta, nominato nella commissione che stabilisce gli affitti dei terreni in palio — si avvera un sogno sociale antico. Affidare la terra a chi la ama per ricavarne cibo in modo giusto. Finalmente tocca ai giovani e saranno loro a proteggere gratuitamente un Paese che avidità ed egoismo hanno reso ancora più fragile». Corinne però non può aspettare. Alle sue rose serve spazio, la “Banca della terra” è necessaria subito per aiutarla a fare da sola. «Non posso pretendere — dice — che tutti i compagni di scuola bevano sempre gli stessi succhi di frutta per regalarmi le bottigliette di vetro in cui vendere l’aceto profumato ».
È quasi sera. Lei non smette di spostare il velo di ghiaccio e di piantare i fiori della prossima estate. Crescono ancora dietro una fila di pannelli solari, lungo l’autostrada paralizzata dai camion,
foto da terrelab.it
Un convegno per parlare di politiche per l’ambiente, venerdì 7 ottobre 2016, a Napoli, presso la sede della Camera di Commercio in Piazza Bovio. L’hanno organizzato Gabriella Corona e Riccardo Realfonzo, con la Scuola di governo del territorio, e l’ISSM-CNR. Il programma è promettente, una buona giornata di riflessione e lavoro. Qui il link alla pagina web del convegno.
Venerdì 19 febbraio, al Museo del Mare a Bagnoli, alle 17.00, si discute di due librini: “Breve storia dell’ambiente in Italia”, di Gabriella Corona, e “La terra ferita. Cronistorie dalla terra dei fuochi” del sottoscritto. L’idea è quella di cercare di tenerli insieme, i due livelli: come la questione ambientale si è sviluppata ed è stata affrontata a scala di paese; e come le crisi locali, come quella della terra dei fuochi, costituiscano un banco di prova spietato della nostra capacità reale di dare risposta, giorno per giorno, ai problemi e alle sofferenze del territorio. Soprattutto, un’occasione per incontrarsi.
Quell’increspatura dello spazio lui l’aveva immaginata un secolo fa. E’ stata osservata ora, come atto finale di una catastrofe cosmica di sconfinata energia: lo scontro e la fusione di due giganteschi buchi neri. Quell’onda impercettibile, ha impiegato un miliardo di anni per giungere a noi. E’ il respiro, la vibrazione della maglia invisibile che innerva tutto l’universo, che tiene insieme le cose, che effettivamente lega il battito d’ali della farfalla, con il pulsare della supernova.
“Come si può mettere la Nona di Beethoven in un diagramma cartesiano? Ci sono delle realtà che non sono quantificabili. L’universo non è i miei numeri: è pervaso tutto dal mistero. Chi non ha il senso del mistero è un uomo mezzo morto.”
“Un giorno le macchine riusciranno a risolvere tutti i problemi, ma mai nessuna di esse potrà porne uno.”
“La mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre.”
“Non possiamo risolvere i problemi con lo stesso tipo di pensiero che abbiamo usato quando li abbiamo creati.”
“Solo due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, riguardo l’universo ho ancora dei dubbi.”
“Se verrà dimostrato che la mia teoria della relatività è valida, la Germania dirà che sono tedesco e la Francia che sono cittadino del mondo. Se la mia teoria dovesse essere sbagliata, la Francia dirà che sono un tedesco e la Germania che sono un ebreo.”
“È più facile spezzare un atomo che un pregiudizio.”
A.E.
Immagine ripresa da www.frascatiscienza.it
Sto curando un ciclo di otto seminari sull’area metropolitana di Napoli, nell’ambito del corso di laurea UPTA (Urbanistica Paesaggio Ambiente Territorio).
Il titolo è complicato: “Dinamiche ecologiche e di consumo del suolo nella città metropolitana“, accidenti!
I seminari si tengono tutti i venerdì, fino al 18 dicembre, alle 14.00, presso la sede del corso di laurea in via Forno Vecchio, aula S.1.2.
Al ciclo di seminari è associato un blog e una pagina facebook, tutti e due hanno titolo “Ecosistema metropolitano.
Nel corso dell’incontro di venerdì scorso (il secondo della serie) abbiamo anche parlato della crisi ambientale e sociale del Dust Bowl, l’erosione eolica dei suoli delle grandi pianure, negli anni della Grande Depressione, e ed allora l’immagine in alto è la copertina di Furore di John Steinbeck, il romanzo (stupendo) che racconta tutte queste cose.
Il professor Gennaro Ciliberto, direttore scientifico dell’Istituto dei tumori “Pascale” di Napoli ha inviato a Repubblica Napoli una lettera nella quale critica il mio articolo del 30 aprile “Se i luoghi comuni contagiano “Nature”” (qui pubblicato nel post “Se anche “Nature” prende una cantonata”). La lettera è stata pubblicata dal giornale lo scorso 9 maggio, assieme alla mia replica.
L’editoriale di “Nature” sulla Terra dei Fuochi
Gennaro Ciliberto, Direttore Scientifico Istituto Nazionale Tumori Napoli.
Mi riferisco all’articolo del 30 aprile di Antonio Di Gennaro “Se i luoghi comuni contagiano Nature” nel quale vengono attaccate le mie dichiarazioni riportate all’interno dell’editoriale pubblicato dalla prestigiosa rivista Nature sulla Eredità Tossica e la Terra dei Fuochi. Purtroppo siamo in un paese e in una regione nella quale chiunque si sente in pieno titolo di esprimere delle opinioni trancianti senza avere dati alla mano e soprattutto senza conoscere i dettagli della nostra idea progettuale che riteniamo sia opportuno prendere in seria considerazione. Mi domando come faccia Di Gennaro a dire che la nostra «proposta tanto impegnativa si basa su ipotesi sperimentali assai controverse» quando non ha in mano alcun dettaglio sugli aspetti della proposta, su come effetti-vamente sia articolata, il rigore scientifico che la caratterizza e le domande alla quali vorrebbe fornire delle risposte. Di Gennaro, prima di esprimere un “verdetto” così definitivo mi avrebbe potuto contattare per avere dei chiarimenti, ma non lo ha fatto. Probabilmente perché come molti altri conterranei preferisce mantenere un elevato livello di inedinizione su come stanno veramente le cose nel nostro territorio anziché mettere in moto un approccio rigoroso per approfondire, chiarire e dare delle risposte precise.
La risposta di Antonio di Gennaro
Ringrazio il professore, gli approfondimenti sulla proposta non sono necessari, mi bastano le anticipazioni di stampa e quelle contenute nell’editoriale di Nature. Il mio parere sul progetto coincide con quello a suo tempo espresso per lo screening sanitario finanziato col decreto Terra dei Fuochi, che costerà all’erario non si sa bene se 20 o 50 milioni. Sono tutte idee che nascono da una visione delle cose orientata, che racconta di un ecosistema integralmente e inesorabilmente compromesso, e di un rapporto accertato tra rifiuti e salute umana. Io ritengo invece che la questione cruciale non sia il supposto aumento dei tassi di incidenza delle patologie tumorali, ma l’acclarata minore sopravvivenza, nella nostra regione, delle persone affette da tali patologie. La nostra terra non ha bisogno di studi e monitoraggi, ma di un rafforzamento dei servizi sanitari di base, sul fronte della prevenzione e su quello dell’assistenza, assieme a politiche pubbliche serie, per mettere in sicurezza i siti inquinati, e un po’ d’ordine in un’area metropolitana nella quale tutti gli standard di civiltà sono drammaticamente carenti. Per il resto, il professore può star tranquillo: sono un conterraneo che purtroppo, per motivi professionali, lo stato di salute delle nostre terre, acque e sistemi agricoli lo conosce bene. E che comunque ritiene un dovere civico intervenire, senza reverenze fuori luogo, in un dibattito dal quale dipende la qualità della risposta collettiva ai problemi della terra che abitiamo. (a.d.g.).
Antonio di Gennaro, 12 maggio 2014
Può apparire un paradosso, ma non lo é, l’elezione avvenuta domenica scorsa, al Congresso di Slow food di Riva del Garda, di Gaetano Pascale a presidente nazionale dell’associazione. Gaetano è il primo leader della prestigiosa organizzazione che non proviene dal Piemonte: è nato a Telese Terme, e vive a Guardia Sanframondi, dove svolge il suo lavoro di agronomo, e conduce l’azienda agricola di famiglia. Il congresso l’ha vinto con più del 60% dei voti, proprio mettendo al centro del suo mandato le aziende agricole e i territori, con un programma non a caso intitolato ” Seminiamo il futuro…coltivando il presente”.
Potrebbe sembrare un paradosso, dicevamo, il fatto che Slow food si affidi proprio ora ad un presidente campano: l’associazione che in quasi trent’anni di attività ha imposto nel dibattito nazionale e globale la centralità, politica e soggettiva, di una nuova cultura dell’alimentazione, del diritto ad un cibo “buono, pulito e giusto”, sviluppando le idee e le intuizioni del suo fondatore, “Carlin” Petrini, divenuto nel frattempo un maître à penser discala planetaria.
Perché, in fondo, è proprio l’agricoltura della Campania a trovarsi in questi mesi sul banco degli imputati: se c’è da pensare ad un luogo dove il cibo che si produce risponde ai tre requisiti indicati da Slow food, probabilmente non è alla nostra regione che il cittadino/consumatore rivolge il suo primo pensiero. In questa situazione, certamente non semplice, l’elezione di Pascale rappresenta un riconoscimento alla bontà del lavoro svolto alla guida di Slow food Campania: un lavoro tutto rivolto alla promozione dal basso dei sistemi rurali e dello strepitoso bouquet di produzioni tipiche della Campania, anzi delle Campanie, perchè la nostra è la regione d’Europa a più elevata diversità biologica e culturale: non un territorio uniforme, ma piuttosto un mosaico strepitoso di paesaggi ed ecosistemi.
Tra i quali vi è certamente anche la piana campana, travolta dalla crisi mediatica, e qui il lavoro di Slow food si è fin dall’inizio orientato alla difesa, responsabile e scientificamente motivata, delle produzioni tradizionali della Terra di lavoro. Al centro di queste attività, c’è la conoscenza: conoscenza dei cibi, dei territori, delle relazioni e dei fattori che rendono unici i prodotti di ciascun paesaggio rurale, da intendere come un patrimonio comune di cultura e memoria da non disperdere, da curare e restaurare se ce n’è bisogno. Che sono poi anche i temi sui quali è stato costruito l’Expo 2015, e questo è certamente un paradosso, perché la biodiversità l’abbiamo noi, qui, ma è Milano a promuoverla a scala globale. Di fronte a questa sconfortante incapacità dei nostri territori di raccontare sé stessi al mondo, l’elezione di Gaetano Pascale costituisce un segnale importante di novità, di inversione di tendenza.
L’articolo è stato pubblicato su Repubblica Napoli del 13 maggio 2014
Dal profondo della notte che mi avvolge,
Nera come un pozzo da un polo all’altro,
Ringrazio qualunque dio esista
Per la mia anima invincibile.
Nella feroce morsa della circostanza
Non ho arretrato né gridato.
Sotto le randellate della sorte
Il mio capo è sanguinante, ma non chino.
Oltre questo luogo d’ira e lacrime
Incombe il solo Orrore delle ombre,
E ancora la minaccia degli anni
Mi trova e mi troverà senza paura.
Non importa quanto stretto sia il passaggio,
Quanto piena di castighi la vita,
Io sono il padrone del mio destino;
Io sono il capitano della mia anima.
William Ernest Henley (1849–1903).
La decisione di Bergoglio di effettuare a Lampedusa la sua prima missione, in forma non ufficiale, concordandola direttamente col vescovo locale, saltando a piè pari la Segreteria di Stato, è un gesto profondamente politico, al di là delle sue intenzioni. Niente di nuovo: Ruini ha fatto politica per vent’anni, contribuendo a consolidare la lunga egemonia del centrodestra in Italia. Con Francesco è diverso, perché lui opera su un terreno “altro”, spiazzando tutti, a partire dagli organi di informazione italiani, che continuano a raccontare il suo papato privilegiando toni bassi, collocazioni laterali, quasi non ci credessero fino in fondo. Con modi apparentemente naives, Francesco sposta completamente l’asse della politica, centrandolo sulle difficoltà, le emergenze, le sofferenze degli uomini reali, i più deboli, quelli perennemente fuori-agenda. Quelli che non hanno la forza e il tempo di aspettare i benefici dei tagli (veri ) e delle politiche (placebo) che i goffi leader europei riescono stentatamente a mettere in campo. Il fatto è che Francesco surclassa questi poveretti anche sul loro terreno, quello delle riforme, basta vedere come in pochi mesi ha ridimensionato la Curia, e rivoltato come un guanto lo IOR.
“Noi ci definivamo un piccolo esercito sgangherato… ora siamo solo un mezzo esercito, e tanto sgangherato… Tutti i progetti di vita che avevo fatto sono di nuovo saltati. Pazienza. Si ricomincia. Si rifà un altro piano, un altro progetto, altre speranze, altri obiettivi.”
Martina Giangrande, conferenza stampa del 29 aprile.
E’ diventato Papa un uomo buono, capace, amico degli ultimi della Terra. Viene dal Nuovo Mondo, si chiamerà come il Povero d’Assisi. Si è presentato con semplicità, prima di benedire ha chiesto lui di essere benedetto, si è inchinato ai fedeli. Sono gesti mai visti, nulla sarà più come prima. C’è speranza.
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