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Antonio di Gennaro, 31 ottobre 2020

Nei viaggi a Tokyo alcuni anni fa all’inizio non avevo capito niente, vedevo sui treni supertecnologici più di un viaggiatore con la mascherina, pensavo fosse una fissazione, un eccesso di difesa, poi m’hanno spiegato che è il contrario, era rispetto per gli altri, un modo di evitare, se devi prendere il mezzo pubblico e hai il catarro, di trasmetterlo per trascuratezza agli altri. Quel piccolo brandello di tessuto era un gesto di attenzione verso il prossimo, così è per noi ora, ed è davvero difficile credere come sia possibile stravolgerne il senso, facendolo passare per una violazione di libertà.

Alla fine la mascherina, coi suoi vantaggi e i suoi fastidi, ricorda un po’ la democrazia con tutte le sue trappole: la tentazione per il singolo di ritenere che il proprio comportamento, il proprio voto, perso nella massa dei grandi numeri alla fine sia ininfluente, senza pensare che se tutti si regolano così l’intero edificio della convivenza libera e regolata cade in pezzi. Così anche per la mascherina, puoi credere che se non la porti non cambia niente, mentre è vero il contrario, che se la indossiamo tutti il rischio diminuisce drasticamente, per te, per me, per tutti.

Ma le virtù di questo umile pezzo di stoffa non finiscono qui, perché ora i ricercatori pensano che esso non svolga solo un ruolo passivo, ma agisca addirittura nel tempo proprio come un vaccino, aiutando l’organismo a convivere e adattarsi ad una carica microbica attenuata, prevenendo in questo modo esiti più critici e nefasti.

Anche qui le analogie con altri aspetti della vita privata e pubblica non mancano, se l’attitudine del cittadino in democrazia è quella di non chiudersi, di accettare la sfida della vita, consapevole che quando esci di casa il rischio zero non esiste, senza però rinunciare a proteggersi, con una mascherina fatta di ragionevolezza, dubbio, perseveranza, tutte cose certamente deboli come un povero brandello di tessuto, ma che alla lunga pure generano effetti, migliorano socialmente la vita, quindi funzionano.

Non so perché ma facebook non mi consente di condividerlo, e allora ho rubato un post dalla pagina facebook di Maurizio Fraissinet, che capirà

Da più di 25 anni, si sa, vivo in un condominio nel centro di una città di oltre 40.000 abitanti con un densità superiore alle 10.000 persone per chilometro quadrato. 
Mi considero fortunato quindi ad avere fuori al mio balcone degli alberi e un piccolo agrumeto di limoni di Sorrento.
Negli anni ho imparato a conoscere i vicini, di ogni forma animale. Ho seguito le vicende familiari. Ho salutato chi è andato via e chi è arrivato a sostituirlo. In questi giorni di inizio primavera c’è una grande agitazione, soprattutto tra i vicini con il corpo ricoperto di penne e di piume.
Carlo, il merlo, ha avuto un gran da fare per cacciare altri due maschi che insidiavano Carla, la merla. Non solo, da giorni passa gran parte del tempo a cantare nei posti più alti del giardino e si misura in intensità con un altro maschio, che vive però in un altro condominio.
Duccio, il Colombaccio, ha deciso di trasferirsi dal Pino d’Aleppo al Cedro del Libano e da giorni si infila tra le chiome di questo. Domenica l’ho visto insieme alla compagna su di un ramo. Non mi hanno notato. Si sono fissati a lungo, poi hanno spiccato il volo e sono andati via. 
Gino, il verzellino, era da un pò che non si vedeva. Pensavo fosse andato via, e invece eccolo posato sul ramo ancora spoglio dell’olmo. Non canta, prova a mangiucchiare le gemme appena spuntate.
Luigia, la passera mattugia, ormai non esce più, sta covando in un buco del muro al terzo piano e Antonio, il compagno, ha il suo da fare per cercare il cibo da portarle. Sono tornati infatti i Passeri d’Italia che negli anni scorsi sembravano essersene andati definitivamente. Gaspare, il passero, si mette spesso in posa sull’olmo a cantare, mentre Serena, la compagna, è anch’essa impegnata a covare in un buco, sempre al terzo piano.
Ornella, la cinciarella, non si vede più. Ero preoccupato, ma quando ho visto Raffaello, il compagno, ho capito che stava covando. Sono contento.
Anche Vera, la capinera, non si vede più. In compenso è attivissimo Francesco, il maschio. Anche lui sosta spesso sui rami dell’Olmo.
E’ tornato anche Gastone, il verdone. Non lo si è visto per tutto l’inverno. Ora però è sempre qua. Vola di continuo dall’olmo al leccio, e poi sul cedro e poi tra i limoni. Canta poco ma emette i suoi versi quando vola.
Ho fatto un po’ di conti è ho constatato che nel mio condominio sono presenti 30 nuclei familiari di esseri umani (Homo sapiens…si fa per dire), un nucleo familiare, rispettivamente di colombaccio (Columba palumbus), merlo (Turdus merula), capinera (Sylvia atricapilla), cinciarella (Parus caeruleus), passera mattugia (Passer montanus), verdone (Chloris chloris) e verzellino (Serinus serinus). Non ho ancora capito se i nuclei familiari di passera d’Italia (Passer italiae) sono più di uno. Oltre a Gaspare vedo ogni tanto un altro maschio. Non so come si chiama e potrebbe provenire da un altro condominio, così come risiedono in altri condomini vicini ma ci vengono a trovare spesso Gaetano, il gabbiano, Orazio, la gazza, Mario, la cornacchia, Geppo il gheppio, Gaia , la ghiandaia.
Sono andati via per trasferirsi nelle residenze estive un pettirosso, tutti qui lo chiamano il Rosso, Geppino, il codirosso spazzacamino, e Bartolo, il luì piccolo. 
Nella foto Gastone, il verdone

Maurizio Fraissinet

 

 

sera3

E’ appena un momento, che il mondo è ancora tutto nero, e la luce resta solo nel cielo.

 

hamsik_rinnova_2016

Mi chiedo perché sia così bello assistere ad una partita di questo Napoli. E’ evidente che non si tratta solo di calcio. Davanti ai tuoi occhi si svolge una manifestazione di intelligenza, un progetto collettivo che funziona, un gruppo di ragazzi di qualità che sta dando il meglio di sé, un leader competente, capace, di solida umanità. E’ una storia bella. Il rito emozionante del canto dei tifosi è un riconoscere e un ringraziare per tutto questo, al di là del risultato. In questo momento il gioco del Napoli è una delle manifestazioni migliori della cultura che questa città, se vuole, è in grado di esprimere.

violetta piccola

La viola e la pervinca, erano già lì, oggi, tra le foglie cadute nella selva. Piccole creaturine, le prime che vedo, in questo pomeriggio di sole d’inverno, di freddo e luce, che è già primavera.

vinca2

Ennio_Flaiano

Chi distrugge di là, chi copre di qua: sono diventate l’arte e la bellezza i nostri nemici? Ad ogni modo, con le povere Veneri inscatolate, arrivano bei segnali di Italietta anni ’50, battiam le mani al direttore, e non c’è nemmeno Flaiano.

Immagine da wikipedia.it

riccio

Un incontro inaspettato a S. Giuseppiello. nel frutteto della camorra dove i suoli vengono puliti utilizzando piante e microrganismi. Una creatura gentile, un segno di speranza.

(dedicato a Michele)

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Mattina gelida, asciutta, che taglia, ma c’è un minuto di luce in più. L’inverno è la fucina della vita.

il cielo stamattina2

il cielo stamattina3

vesuvio 2016 piccola3

vesuvio2

Il sole è nuovo ogni giorno.

Non si può discendere due volte nel medesimo fiume.

Diamoci da fare. Auguri.

tiro a volo 21-5-15

foto di Maria Messina

Antonio di Gennaro, 9 marzo 2015

Nella foto dal cielo di Astrosamantha gli uomini non si vedono: c’è l’area napoletana con la sua fisiografia, come si è determinata negli ultimi undicimila anni, con il mosaico straordinario di vulcani ed ecosistemi: in nessun altro posto al mondo esiste una tale incredibile variabilità di paesaggi, da mozzare il fiato. Si, vista dall’alto la nostra terra è proprio così.

Le cose cambiano al livello del suolo, perché la foto dell’amica in orbita inquadra quello che al momento è il pezzo d’Italia più povero, al fondo della graduatoria del reddito pro-capite. Come se non bastasse, alla povertà monetaria – è notizia dell’altro giorno – si accompagna quella civile e dei servizi: il primato negativo riguarda anche il sistema sanitario, il welfare è più debole qui, proprio dove ce ne sarebbe più bisogno. Anche il capitale umano si erode, se i nostri ragazzi non rimangono, vanno via per studiare, per riguadagnare una prospettiva attraente di vita, all’ombra di paesaggi probabilmente meno suggestivi ma tremendamente più sicuri e agganciati alla modernità.

Ma non sono queste le cose che più spaventano, quanto la mancanza di una reazione adeguata, di una strategia per uscire da questo brutto sogno. Le classi dirigenti sono in stallo. Siamo indietro con la programmazione dei fondi europei 2014-2020, il malato è così debole che non riesce nemmeno più a reclamare le risorse per il sossestamento. La pubblica amministrazione è in liquidazione, il governo e la cura del territorio in disarmo,  la bella terra fotografata da Astrosamantha, ci casca addosso, si sbriciola, è rovinata dagli abusi.

Eppure la foto dal cielo inquadra precisamente la città metropolitana che sta nascendo, un mosaico complesso del quale Napoli è solo un piccolo segmento. Quella foto sarebbe utile, se restituisse una prospettiva d’insieme, stimolasse nuove idee. La Spagna ha utilizzato questo decennio di crisi per riprogettarsi, rinnovare motivazioni e strategie, e ripartire. Un lavoro che sarebbe tanto più necessario qui, mettendo all’opera proprio quelle giovani energie ora costrette a fuggire. Perché l’Italia ha bisogno della foto di Astrosamantha, e di noi.

 

Astrosamatha

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