“E’ l’ultimo atto ufficiale che compio, sono felice che sia qui” ha detto Napolitano commentando a caldo la commemorazione assieme al presidente tedesco Gauk delle vittime della strage nazista di S. Anna di Stazzema. Alla fine i due anziani leader si sino abbracciati a lungo, in modo irrituale, rimanendo avvinghiati l’un l’altro, ed è in quell’abbraccio il testamento politico di Giorgio Napolitano.

Difficile non provare rispetto, nonostante tutte le perplessità, per il vecchio presidente. E’ lui il grande sconfitto delle ultime elezioni, il suo disegno è andato in frantumi. Il governo tecnico ha certamente evitato il baratro, ma ha fornito a un  Berlusconi  spacciato l’occasione di riciclarsi ancora una volta, a Grillo materiali robusti per la sua affermazione, a un Pd frastornato ulteriori motivi di logorio e sfibramento.

Nel corso di quest’anno abbiamo definitivamente compreso, ove ce ne fosse stato mai bisogno, che Monti non è Ciampi, né Prodi, e neanche Padoa-Schioppa. Mentre la Merkel non è Kohl.

La cancelliera farebbe bene a leggere il libricino profetico che rese celebre il giovane Keynes, “Le conseguenze economiche della pace”, nel quale si scongiuravano i vincitori del primo conflitto mondiale di non vessare la nazione tedesca con condizioni impossibili, perché la sofferenza economica avrebbe comportato lo sfacelo della democrazia. S’è visto poi quanto avesse ragione.

L’esito del progetto del vecchio presidente, il suo dramma personale, sta nel fatto che le elezioni che dovevano tenerci in Europa hanno consegnato il 60% del parlamento italiano a una desolante congerie di populismi anti-europeisti.

In quell’abbraccio tra i vecchi presidenti c’è la consapevolezza tragica della gravità del momento, un’indicazione fragile per il futuro.