Se nel ventennio berlusconiano il paese non ha avuto prima una sua deriva peronista è stato grazie ai tre presidenti. Che non erano tutti di sinistra: cattolico democratico il primo, laico-azionista il secondo, post-comunista il terzo, seppur da sempre su posizioni moderate. Quello che il satrapo col cerone non riesce proprio a digerire è un tratto che ha accomunato le tre figure: la fedeltà alla Costituzione del ’48 vissuta come progetto indefettibile, come religione civile.
E’ facile vedere allora come l’elezione di un presidente alle vongole, post-costituzionale, alla Pera o Letta, per tacer di Schifani, priverebbe il paese di un bilanciamento essenziale. Perché il peso elettorale delle forze riconducibili all’arco costituzionale vale oramai solo un terzo del totale, e la tendenza è verso un ulteriore raggrinzimento. Il resto è una congerie di populismi assortiti, che nella primordiale assenza di responsabilità e senso istituzionale, gioiosamente trovano motivi di vitalità, inafferrabilità, forza.
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