Antonio di Gennaro, 20 aprile 2014

“Ma allora lei è negazionista?”. La domanda mi è giunta secca, alla fine di un seminario interdisciplinare organizzato dal Dipartimento di Prevenzione dell’ASL Napoli 1 sull’emergenza nella Terra dei fuochi. Il confronto con medici e veterinari era andato molto bene, con una sostanziale convergenza, sino a quell’ultima domanda, da parte di un partecipante evidentemente poco convinto. Resto un attimo perplesso: il termine non è proprio simpatico, né neutro: nasce per qualificare l’atteggiamento degli storici che negano le colpe e i crimini del nazi-fascismo, e per questo ha una connotazione spregevole, negativa. Nel mio intervento mi ero limitato a illustrare le conoscenze agronomiche e scientifiche sull’agricoltura della Terra dei fuochi, mostrando come i dati in nostro possesso, i risultati dei controlli capillari che si stanno facendo, evidenziano come i problemi sanitari, se ci sono, non sono legati alla catena della produzione vegetale. L’agricoltura non c’entra, è un obiettivo sbagliato, anzi rappresenta un elemento d’ordine in un territorio disastrato. Il guaio è che proprio su questa errata valutazione è stato concepito il farraginoso decreto governativo, la cui attuazione, dopo la prima fase di identificazione delle aree, annaspa in modo imbarazzante.

Ma tant’è. La narrazione dominante della crisi della piana campana, il racconto di un inquinamento generalizzato, di un agricoltura avvelenata che minaccerebbe la salute delle persone, non possono essere sottoposti a verifica critica, analizzando distintamente i diversi segmenti del problema, evitando di fare confusione, e di affibbiare un marchio d’infamia infondato alle attività agricole di un’intera regione. Dissentire, dati alla mano, dal terribile racconto, significa essere negazionisti, e questo ha ripetuto nei giorni scorsi il direttore generale dell’Istituto Pascale, Tonino Pedicini, nel corso di una presentazione pubblica del libro di don Maurizio Patriciello, secondo il quale «C’è chi ha sposato un atteggiamento negazionista che non ha alcuna base scientifica. La negazione di quello che deve essere l’atteggiamento di un medico e di un uomo di scienza”. L’accusa, per quel che mi riguarda, ha aspetti sorprendenti, perché sono proprio le affermazioni fatte su un’agricoltura maledetta, prive di ogni base scientifica, ad aver messo in ginocchio fatturato e occupazione di un intero settore, con un impatto sociale, territoriale e di immagine devastante.

Se veramente vogliamo capirci qualcosa in quello che sta succedendo, sarebbe meglio lasciar perdere le parole a effetto. Il confronto critico non è negazionismo. Il vero discrimine dovrebbe essere tra chi propone percorsi e orizzonti praticabili verso la soluzione dei problemi, e chi fa solo confusione. C’è un territorio da rimettere in ordine, con un pauroso deficit di cittadinanza, al quale bisogna restituire standard di vita decenti, con politiche pubbliche di ampio respiro, senza cadere nella trappola delle bonifiche. Riflettendo possibilmente su quanto sia ragionevole protestare giustamente da un lato per l’inquinamento da rifiuti, contrastando aprioristicamente dall’altro ogni seria soluzione impiantistica, strutturale, in grado di condurre una volta per tutte la Campania fuori dalla crisi.

Articolo pubblicato su Repubblica Napoli del 20 aprile 2014 con il titolo “Sei negazionista, l’anatema lanciato contro chi si affida alla scienza”.