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Il bambino afghano gioca nel campo sassoso fuori casa, nell’inverno di montagna. Indossa la maglia di Messi sopra il maglione di lana grossa, se l’è fabbricata con una busta di plastica. E’ un oggetto magico, portentoso, così lui diventa il piccolo eroe che trasforma il calcio in gesti invincibili di intelligenza e bellezza, in un’arte. In Venezuela da quarant’anni l’economista-musicista  José Antonio Abreu strappa migliaia di ragazzi alla morte violenta di strada con la musica classica, fondando orchestre giovanili. A Napoli, alla Sanità, i ragazzi si fabbricano il lavoro studiando l’arte, raccontando mirabilmente ai visitatori i tesori delle catacombe, la memoria antica nascosta nel sottosuolo del quartiere sofferente. Succede quindi che l’arte,  la cultura, la bellezza, lo sport  (quello praticato, non quello ciarlato) nelle terre difficili  del mezzogiorno del mondo, diventino l’energia positiva per innamorare per sempre i cuccioli alla vita, senza lagne, credendo ancora cocciutamente che il futuro c’è. Una cosa tremendamente seria.