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Stella Cervasio, Repubblica Napoli del 30 luglio 2016

Fatti, non opinioni. Mai come nel caso della cosiddetta Terra dei fuochi, i primi avrebbero dovuto avere la priorità sulle seconde. C’era una volta la Terra del Fuoco, dove le fiamme venivano accese per il freddo, non per distruggere le tracce di malefatte ai danni della terra. Ora se si va sul web, su quel lembo estremo che segue la Patagonia sono rimasti pochi riferimenti, più à la page usare al plurale soggetto e genitivo: il territorio che genera fuochi, la piana agricola tra Napoli e Caserta. Eccolo diventare “un luogo comune”. Di più: un posto della mente, da manuale dei luoghi fantastici, che però di fantastico ha ben poco. Antonio di Gennaro dice cose molto forti, nei suoi articoli per “Repubblica”. Ma chi lo conosce sa che il suo modo di parlare, mai viscerale, mai adirato, sa rendere l’argomento interessante per l’interlocutore, perché privo di facile enfasi polemica. Ciò non vuol dire però che le fiamme non possano divampare, nei suoi ragionamenti. Anzi, divampano di più, a maggior ragione. Ed è proprio così nel suo “diario pubblico”, dove si ripercorre la cronistoria e la storia di una crisi che ha fatto a pezzi un territorio, la sua economia, i suoi abitanti. La terza area metropolitana d’Italia, invece di essere accompagnata verso uno sviluppo compatibile e opportuno, viene demolito da centinaia di articoli e servizi dei media. Un’eco che rimbalza di voce in voce, incalzata da alcuni pareri onnipresenti, e più da congetture che da dati scientifici. Fonte primaria sulla minaccia di rischi legati a rifiuti pericolosi seppelliti in zona, il pentito casalese Carmine Schiavone, che poi muore e non può né confermare né rimangiarsi nulla. Uno sfiatatoio, come spesso lo sono personaggi del genere. Fa riferimento a rifiuti nucleari tedeschi, ma niente si trova; e quando parla di lui, il magistrato Raffaele Cantone dice: «L’ho sentito più volte, non va preso per oro colato quello che dice ». Di Gennaro, pubblicando i suoi editoriali su Repubblica, che ha fatto così la scelta di riequilibrare una bilancia pendente decisamente verso il basso per un territorio che non lo merita, ricostruisce una vicenda che trova riscontro in quelli che spesso sono i cattivi consiglieri dei meccanismi dell’informazione: la superficialità e il prevalere dell’opinione sul riscontro, sul dato scientifico. Un libro al termine del quale resta l’amaro in bocca, perché vediamo dissiparsi in una nebbia cattiva la speranza viva come in pochi luoghi, ormai, di una economia rispettosa della terra e del suo valore ineguagliabile. Ma nelle cui ultime pagine troviamo il sostegno per rintracciare la razionalità e rimettere finalmente sulla strada giusta anche lo Stato, che rispetto a Terra dei fuochi ha avuto interventi poco efficaci e dimostrativi della scarsa chiarezza nella percezione di una situazione che coinvolge ancora una volta il vituperato Sud.