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Antonio di Gennaro, Repubblica Napoli 21 febbraio 2017

Certo anch’io, come Massimo Troisi, vorrei “stare più dentro la situazione, essere un giocatore della squadra, per sapere i retroscena”: lui pensava a Bruscolotti, ma gli sarebbe bastato anche essere la moglie di Renica. Comunque, in assenza di notizie di prima mano, mi piace pensare che la sfuriata del presidente De Laurentiis dopo la notte di Madrid sia passata via, come un acquazzone estivo, molto rumore e solo qualche ramo rotto.

Mio fratello che vive a Rio mi ha raccontato, prima dell’incontro di Champions, che in Brasile il Napoli è ora molto seguito. Quel popolo, perennemente alla ricerca della gioia, apprezza il gioco corale della squadra, proprio perché ci vede un’espressione di gioia, e di intelligenza.

Contrariamente a molti, io non penso che sia per forza necessario vincere qualcosa. Sono convinto che il Napoli di Sarri abbia già ora il suo posto nella storia del calcio. Certo, è il risultato di un progetto partito da lontano, sui campi della terza serie, in giro per la provincia italiana, e in questo lungo percorso De Laurentiis ha avuto il merito di affidarsi a persone di qualità – Marino, Reja, Donadoni, Mazzarri, Benitez – ciascuna delle quali ha lasciato un segno, che è possibile cogliere ancora oggi.

In questi anni il Napoli ne ha fatta di strada, ora è sedicesimo nel ranking UEFA, su quattrocentocinquantatre squadre di club, l’unica italiana davanti è la Juventus, e nel frattempo ha lanciato molti campioni, che non sempre erano top players quando sono arrivati.

Ad ogni modo, le sensazioni che provo vedendo giocare la squadra sono strane, è come ascoltare i ragazzi di Sanitansable, o l’orchestra della scuola media pubblica vicino casa, dove io e mia moglie abbiamo studiato, e poi i figli: un’espressione di gruppo che trasmette gioventù, bellezza, armonia, disciplina, e mi chiedo se tutto questo non possa essere d’ispirazione per la città, al di là del calcio e dello sport.

Perché la cosa della quale ci sentiamo particolarmente orfani, da tempo, è proprio la condivisione di un progetto collettivo, da giocare come squadra, dove ognuno abbia il suo ruolo, e possa fare la sua parte, sapendo che ci vuole del tempo per migliorare sè stessi e il mondo, e c’è un cammino da percorrere.

Certo, occorrono anche i leader, e noi abbiamo Marekiaro Hamsik, che è un giocatore unico, avrebbe potuto giocare nei più importanti club del mondo, ed invece ha scelto di rimanere qui, a vivere dove e come voleva, con pacatezza, equilibrio, serietà, conquistando senza tante chiacchiere il rispetto di tutti.

Sono questi i motivi per i quali – anche senza essere Bruscolotti o la signora Renica – sono convinto che lo sfogo di mercoledì non avrà seguito. Il presidente e l’allenatore hanno dimostrato di essere persone di valore, è dal fortunato incontro delle loro capacità e visioni che è nato il Napoli di oggi. Che non ha bisogno di arrivare primo per essere una grande squadra: come nella vita il risultato certo conta, ma ancor di più l’esperienza irripetibile del percorso, la volontà e l’umanità che ci hai messo.