Antonio Di Gennaro, Repubblica Napoli del 12 dicembre 2017
Avevo chiesto a Pietro Spirito di raccontarmi qualcosa del lavoro che sta facendo come presidente dell’Autorità portuale del Tirreno centrale, che comprende i porti di Napoli, Salerno e Castellammare di Stabia. Non ci ha pensato su. «Domenica mattina facciamo una visita guidata», mi ha risposto, «l’appuntamento è alle dieci al varco dell’Immacolatella, ti aspetto».
Nel frattempo mi procuro gli ultimi libri di Parag Khanna, il giovane studioso indiano di strategie globali, so che per Pietro sono fonte di ispirazione, così arrivo preparato. Appena ci incontriamo gli dico subito che Connectography potrebbe essere un bel saggio di 150 pagine, 600 sono decisamente troppe, neanche Ken Follet… Lui sorride. Resta il fatto che le idee dell’indiano sono intriganti. Secondo lui, in tempi di globalizzazione, gli stati nazionali coi loro territori e confini complicati da difendere fanno acqua, mentre sono le città i soggetti vitali, i cuori pulsanti della rete di supply chain, le filiere globali lungo le quali scorrono i flussi di beni, persone, informazioni, energia.
Nel frattempo le persone arrivano, sono un centinaio, è una mattina fredda di sole, nuvole scure e pioggia, gli ombrelli colorati si aprono e si chiudono di continuo sulla banchina lucida, mentre tutt’intorno la vita del porto vibra, coi pullman turistici, le cabine degli autoarticolati, una nave da crociera tutta bianca fa da sfondo, imponente, alta come un palazzo di quindici piani.
La prima tappa è al palazzo settecentesco dell’Immacolatella, la costruzione roccocò con le statue volteggianti: come la casina vanvitelliana sul Fusaro, era tutta circondata dall’acqua, collegata alla terra da un istmo sottile, poi la colmata del porto l’ha assorbita, ed ora sta lì incastrata nella modernità, una presenza fascinosa e incongrua. Nell’Ottocento di qui partivano i migranti (quelli nostri), a breve iniziano i lavori di restauro, poi diventerà un centro di ricerca delle università campane sull’economia del mare.
Una cosa mi è subito chiara, la comitiva che si va raccogliendo non è occasionale. Ci sono ricercatori del Cnr, dell’università, rappresentanze di associazioni ( Propeller club, Friends del Molo San Vincenzo, Lega navale, Aniai), insomma, una piccola appassionata comunità di scopo, che da anni lavora per restituire alla città il porto assieme alla sua storia. Nel frattempo arriviamo al parallelepipedo immenso dei Magazzini generali, progettato negli anni ‘40 da Marcello Canino, doveva andar giù, poi la Soprintendenza ha posto il vincolo storico. L’immenso edificio sarà restaurato, diventerà sede del Museo del mare e dell’emigrazione.
Siamo al Molo Angioino, la Stazione fascista di Bazzani è una macchia elegante di luce bianca, mentre di fronte il castello antico, fradicio di pioggia, è tutto nero. Ora è Pietro a parlare, si aiuta con un piccolo megafono. Il progetto per il nuovo terminal del Beverello, un’elegante costruzione bassa, rivestita in pietra lavica, per le partenze verso le isole del golfo, al posto delle baracche provvisorie che stanno lì dall’80, è stato finalmente approvato, grazie al lavoro fatto con la Soprintendenza. Alla fine, per rimettere a posto il tratto di waterfront che abbiamo percorso, serviranno una ventina di milioni, poi sarà tutto un continuo, dalla nuova piazza Municipio, con la Metropolitana e l’archeologia, fino alla Stazione marittima sul mare, in quello che sarà uno dei luoghi più belli d’Europa.
Il porto che si re- integra con la città e con la sua area metropolitana, è questa l’idea fissa di Pietro. Le connessioni lunghe delle reti globali, di cui parla Parag Khanna, sono importanti, ma è anche cruciale la ricucitura coi luoghi, quello che succede al passeggero o alla merce non appena mette piede a terra, il taxi che trovi subito per l’aeroporto, senza dispute e battibecchi, ma anche il bus che ti conduce, senza mai scendere, ai luoghi storici, le Regge di Capodimonte e Caserta; o il nuovo binario a Vigliena che ti collega direttamente all’alta capacità, e alle piattaforme logistiche dell’area metropolitana. Più semplicemente, per gli abitanti della città, poter passeggiare tranquillamente sul mare, come in un nuovo quartiere guadagnato alla quotidianità.
I numeri sono importanti: 143 ettari a terra, 266 ettari di specchi d’acqua, 12 chilometri di banchine; con 8 milioni di passeggeri l’anno, il Porto di Napoli è il secondo scalo in Italia dopo Messina, mentre per il traffico merci è in nona posizione (23mila tonnellate). Con il dragaggio dei fondali, la realizzazione della nuova Darsena di levante, il rafforzamento dei collegamenti con Capodichino e l’Alta velocità, la sinergia con il retroterra dell’area orientale, il porto può guadagnare ulteriori posizioni nel Mediterraneo e in Europa. La creazione della Zona economica speciale prevista dal Decreto per il Mezzogiorno, con particolari agevolazioni fiscali per chi investe, aprirebbe nuove prospettive per la città e per l’intera area metropolitana. C’è una legittima aspettativa intorno alle Zes, in tutta Italia.
Tornando a Khanna, secondo lui un ruolo importante nell’ascesa delle città è svolto dai tecnici, i civil servant, i soli in grado di assicurare quella continuità d’azione che la politica non sembra più in grado di offrire. Lo dico a Pietro, gli dico che è difficile riscontrare, in ambiti politici elettivi, un livello di cooperazione ed intesa con pezzi vitali della società, come quello che ho riscontrato stamattina, passeggiando con lui sulle banchine umide di pioggia.
« Non sono d’accordo, qui Khanna sbaglia alla grande. I tecnici da soli non bastano. Magari ti curano uno spread, ma le ferite e i costi sociali che lasciano sono forse più gravi. Sono la politica e le istituzioni che devono indicare direzione e compatibilità. Il mio lavoro è quello di farle lavorare insieme, ed è per questo che quotidianamente collaboro assai positivamente con il sindaco, il presidente della Regione, il ministro delle Infrastrutture. A regole invariate, senza aspettare le riforme, usando con intelligenza le leggi che già abbiamo. Per fare questo – continua il presidente dell’Autorità portuale – occorre certo competenza, ma ancora di più pazienza, costanza, e un po’ di tempo. In Italia le cose procedono con lentezza, ma è già un risultato, restassero ferme sarebbe assai peggio ».
La passeggiata si chiude al Molosiglio, sbuca il sole ed illumina la selva di alberi e vele nella Darsena. Mancherebbe da percorrere il Molo San Vincenzo, la possente infrastruttura borbonica che procede per due chilometri nel mare, fino al faro, e alla statua benedicente del Santo, offrendo della città la visione più straordinaria e struggente. Per riaprirlo al pubblico occorrono novecentomila euro, bisogna rendere sicuro il primo tratto che attraversa il quartiere della Marina militare. Poi c’è da mettere a posto il resto, le mura nere di pietra del Vesuvio, e i cannoni arrugginiti. Pietro ha ancora tre anni davanti. Si può fare.
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