Antonio di Gennaro, Repubblica Napoli 5 gennaio 2019
Il 2019 doveva essere l’anno della svolta, speriamo sia almeno quello della ripartenza, il processo per restituire finalmente l’area ex Italsider di Bagnoli alla città aveva subito una battuta d’arresto nell’ultimo anno e mezzo, e non è solo una questione di soldi. Certo colpisce il fatto che, a fronte della richiesta di Invitalia di quasi 400 milioni per rifare la bonifica sull’intera area, con un fabbisogno stimato di circa 150 milioni l’anno, nella legge di bilancio 2019 non si rinvenga traccia esplicita di uno stanziamento corrispondente e così si debba fare affidamento, come ci dice il commissario Floro Flores nell’intervista di ieri, sul residuo dei fondi 2018 (71 milioni) e su uno stanziamento promesso del Ministero dell’ambiente di altri 50 milioni.
Invitalia, giova ripeterlo, è il soggetto attuatore individuato dal decreto Sblocca Italia per condurre finalmente in porto il risanamento ambientale e la rigenerazione urbana dell’area di Bagnoli. A fronte delle critiche, quel decreto del settembre 2014 aveva indubbi aspetti positivi: l’aver messo in sicurezza la proprietà pubblica dei suoli, dopo il fallimento di Bagnolifutura; e aver mobilitato su Bagnoli una filiera istituzionale completa, dal governo nazionale al comune, passando per la regione, costringendo quindi alla cooperazione e al dialogo i diversi livelli di governo, e restituendo alla fine a Bagnoli il profilo di grande questione nazionale.
A distanza di più di quattro anni dal decreto quel meccanismo sembra essersi inceppato di nuovo, e c’è da capire perché sia rimasto ancora senza gambe il faticoso accordo raggiunto in cabina di regia nel luglio 2017 tra governo regione e comune, che pure aveva il merito di non sconfessare le scelte del Piano regolatore del 2004, per certi aspetti anzi migliorandole.
Una risposta è anche nel documento ufficiale nel quale Invitalia ha sintetizzato la sua strategia. Si chiama PRARU (Programma di Risanamento Ambientale e di Rigenerazione Urbana), è scaricabile dal sito istituzionale, ed è stato predisposto in vista della consultazione pubblica per la valutazione ambientale strategica (VAS) del programma, una procedura obbligatoria prevista dalla legislazione comunitaria e nazionale, che è tuttora in corso.
La lettura del documento evidenzia alcuni aspetti singolari, a partire da quelli relativi al completamento della bonifica. Per capire qual è lo stato di contaminazione dei suoli e delle acque, Invitalia ha condotto una capillare campagna di caratterizzazione delle matrici ambientali, i cui risultati sono anche scaricabili dal sito della società. Sin qui tutto bene, i problemi sorgono dopo, perché a partire dai dati analitici di base Invitalia giunge tout court, senza aver effettuato alcuna analisi di rischio sito-specifica – che pure è il passaggio decisivo che la legge prevede – alla conclusione francamente immotivata che la bonifica debba essere ripetuta per l’intera area, con un costo stimato per l’appunto in 388 milioni di euro.
Per intenderci, l’analisi di rischio è la fase nella quale si valuta, attraverso l’uso di idonei modelli, in che misura il contenuto di potenziali contaminanti presenti nei suoli e nelle acque (metalli pesanti, idrocarburi policlici aromatici, ecc.) sia realmente in grado, attraverso i diversi meccanismi di esposizione (inalazione, contatto, ingestione) di costituire un pericolo concreto per le persone che utilizzano l’area per fini residenziali, produttivi, ricreativi. E’ solo con questo tipo di analisi che è possibile per ogni contaminante determinare la soglia di rischio al di sopra della quale diventa necessaria la bonifica.
Senza questo passaggio, sulla base dei soli dati di caratterizzazione, semplicemente non è possibile elaborare un progetto di bonifica, definire cioè la portata, i costi, i tempi dell’insieme di interventi che è necessario attuare. Soprattutto, non è praticabile la scomposizione dell’area complessiva di intervento in porzioni caratterizzate da una diversa intensità dei problemi, fino all’identificazione di sotto-aree nelle quelli l’eventuale contaminazione è al di sotto delle soglie di rischio, che non necessitano pertanto di bonifica, e potrebbero da subito essere riavviate alla trasformazione e alla fruizione pubblica.
Questo passaggio, assolutamente decisivo, nel documento di Invitalia semplicemente manca. Al momento della stesura del PRARU l’analisi di rischio non è stata ancora effettuata, e non si capisce allora da cosa scaturisca la previsione di ripetere la bonifica sull’intera area, con una spesa paragonabile a quella sostenuta nel quindicennio precedente, portando così il costo complessivo della bonifica di Bagnoli a sfiorare i mille milioni, quanto Milano ha speso per l’Expo, solo che lì un contributo decisivo al rilancio della città almeno c’è stato.
Dicevamo che la procedura di valutazione ambientale è in corso, e una novità è la pluralità di organizzazioni, dal WWF Italia al FAI Campania, alle rappresentanze napoletane dei sindacati confederali CGIL CISL UIL, che hanno osservato come la strategia proposta da Invitalia manchi ancora della necessaria concretezza, proprio sulla base di considerazioni del tipo di quelle esposte in precedenza.
E’ una critica niente affatto ideologica, ma pragmatica e costruttiva, dove il timore non è che le cose si facciano, ma all’opposto che si continui a perdere tempo, rincorrendo inutilmente una bonifica senza fine, con il risultato di sacrificare aspetti essenziali. A cominciare dalla rete pubblica dei trasporti, necessaria per collegare Bagnoli alla città metropolitana, che resta il suo bacino naturale di riferimento, e qui il PRARU punta tutto sulla gomma, con un nuovo svincolo della tangenziale (sforacchiando un altro versante collinare), un parcheggio da 5.000 auto (una roba da 10 ettari, manco fosse un centro commerciale), ed il trasporto su ferro che si limita al prolungamento della linea 6 (tenuto conto delle esigenze, poco più che la navetta di un parco a tema).
In definitiva, mancano per ora i soldi, ma ancor di più manca una strategia attuativa credibile. C’è ancora tempo per recuperare. Il documento che WWF Italia, FAI Campania, CGIL, CISL e UIL di Napoli hanno sottoscritto insieme può essere un contributo serio, e se il tono delle osservazioni è questo, ben venga la partecipazione, come confronto e arricchimento, e ben venga un nuovo protagonismo del commissario e dei livelli di governo locali: le tecnostrutture restano strumenti utili per superare le emergenze, poi è bene che parlino le istituzioni.
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