Ugo Leone, Repubblica Napoli 11 gennaio 2019

Come si dice? Chi vivrà vedrà. Io ormai mi sono messo l’animo in pace e credo che non la vedrò Coroglio-Bagnoli risanata, “ricostruita” e restituita alla città. Coroglio secondo l’interpretazione di Gino Doria (“Le strade di Napoli: saggio di toponomastica storica”, Napoli, R.

Ricciardi, 1943) deve il nome a “quel cercine o torciglione di panno, che si adatta sul capo a comodo trasporto di oggetti pesanti”. Quel cercine in dialetto napoletano si chiamava curuoglio e veniva utilizzato prevalentemente dalle donne che vi poggiavano cose da trasportare e ad osservare bene e magari anche con un po’ di fantasia, il costone di tufo che ai piedi del Capo di Posillipo si adagia sulla spiaggia ne ha un po’ la forma. Col passare dei decenni fu costruita la strada di collegamento del “Capo” con il mare. E l’area divenne luogo di villeggiatura per molti napoletani prima di diventare la sede di un grande impianto siderurgico “a ciclo integrale”: importava carbone e minerali di ferro, li trasformava in ghisa e acciaio e li vendeva come importante materia prima per usi industriali e per l’industria delle costruzioni. Tutto questo – non anche la strada in costruzione nel 1840- io l’ho visto. Ancora cronologicamente più da vicino ho visto la dismissione delle industrie che ne avevano progressivamente occupato lo spazio.

Ho visto la nascita di Città della Scienza (e il suo incendio) e con grande interesse e partecipazione ho seguito lo sviluppo del Piano regolatore generale e le trasformazioni che prevedeva in questa area ormai diventata “ solo” spazio. Da questa ultima visione sono passati quasi trent’anni e sto sempre aspettando di vedere. E sto aspettando con decrescente speranza che ciò accada. Qualche lettore più fedele ricorderà che quando ne ho scritto in passate occasioni mi sono presuntuosamente paragonato a Mosè il quale per quaranta anni aveva guidato gli Ebrei dall’Egitto verso la “terra promessa” dove scorreva latte e miele. Ne passò di tutti i colori e cominciò a disperare di arrivarci. Tanto che per questa mancanza di fede fu punito e nella terra al di là del Giordano non entrò. Ma gli fu dato di vederla: dall’alto del monte Nebo.

A me, si parva licet, sta toccando da anni la stessa sorte per Bagnoli- Coroglio. Soprattutto dopo aver letto con attenzione il 5 gennaio l’articolo di Antonio Di Gennaro (“ Bagnoli. Il piano Invitalia non funziona”); la risposta di Invitalia del giorno dopo in un’intervista di Roberto Fuccillo (“ Invitalia: Bagnoli, fatta l’analisi del rischio“); l’articolo di Sandro Dal Piaz del giorno 7 (“ Ma quel programma di risanamento ambientale è poco credibile, sia la parola agli enti elettivi”); la replica di Di Gennaro (“Bagnoli e Invitalia. Perché l’analisi di rischio resta segreta?”).

Voglio dire che soprattutto dopo aver letto tutto questo insieme con i documenti di Invitalia citati il mio dubbio diventa una certezza: io Bagnoli risanata e trasformata non la vedrò.

D’altra parte devo anche onestamente riconoscere che non sempre capisco tutto e bene dalla lettura di argomenti come quelli contenuti nelle documentazioni cui fanno riferimento gli articoli su “ Repubblica” che ho citato. Però, conoscendo discretamente l’italiano, qualche cosa mi induce anche riflettere e a farmi e fare domande. La prima è quella che pone anche Antonio Di Gennaro: perché Invitalia sostiene che i risultati dell’analisi di rischio debbano restare segreti? L’altra è ancora più angosciante e riguarda i costi della bonifica. Perché nella intervista a Fuccillo Invitalia dice a chiare lettere: “ I soldi spesi in precedenza, diverse centinaia di milioni, non solo non sono serviti a nulla, ma hanno addirittura aumentato i costi per la nuova bonifica, in quanto il terreno contaminato è stato distribuito su aree dove in precedenza non c’erano sostanze inquinanti”. È come se la bonifica effettuata sino ad ora l’avessero fatta bambini con paletta e secchiello togliendo la sabbia da una parte e spargendola sul resto del terreno. Tanto, appunto, da costringere a fare tutto da capo.

L’idea di dover fare tutto da capo non solo mi terrorizza, ma induce anche a chiedere chi e perché ha buttato soldi per una bonifica che non sarebbe servita a niente, a vantaggio di chi?

Poi, tanto per completare il discorso, caso mai arrivassi a vivere sino a cento anni e “ vecchierel canuto e stanco” me ne volessi andare al Parco Virgiliano per affacciarmi a vedere che cosa sta succedendo di sotto, mi chiedo: quando la bonifica sarà completata che cosa si farà sui territori bonificati? C’è ancora un Prg che dà indicazioni o si ricomincia da capo? E le cose già fatte, non consegnate e in via di progressivo degrado che fine fanno? Esiste sempre una Corte dei conti? Chi vivrà…