Antonio di Gennaro, Repubblica Napoli del 21 gennaio 2020

Vorremmo veramente poter credere che non sia stata solo una passeggiata a favore di telecamere quella di ieri, sotto un cielo grigio e incattivito che ha stretto la città in una morsa di gelo dopo tante giornate azzurre di quasi primavera. Sono passati trent’anni dalla chiusura della fabbrica, una generazione intera ha conosciuto Bagnoli come un enorme, desolante vuoto urbano. Imponenti risorse pubbliche sono andate disperse, il quartiere ha conosciuto un inesorabile declino, ed è evidente che la mortificazione di una città intera non è risarcibile con le frasi a effetto, anche lo “scusate il ritardo” del ministro funziona poco, l’ironia e l’intelligenza di Troisi non riescono a sciogliere il gelo.

Accenti di verità Provenzano li trova invece nella rappresentazione dello squallore: “Quando sono venuto a Bagnoli per la prima volta mi sembrava un carcere ambientale. Abbattiamo questo muro che ha sottratto questo luogo alla città”. Sono proprio le parole, le cose che i reportage di “Repubblica” hanno raccontato in questi anni, nel silenzio generale. “Vogliamo aprire questo luogo alla cittadinanza” ha detto ancora il ministro “apriamo oggi i recinti e proviamo a restituire alla città quello che negli anni è stato sottratto”. Anche questa istanza “Repubblica” l’aveva cocciutamente ribadita. Nel silenzio.

Vorremmo poterci credere che non era una passerella. Per la verità, anche la metafora delle ruspe, cui i diversi partecipanti fanno immancabilmente ricorso, ha poco senso, suona falsa. L’analisi di rischio, la cui sorprendente mancanza “Repubblica” aveva a più riprese segnalato, è stata approvata in conferenza dei servizi solo 4 giorni fa. Quindi era vero che non c’era quando è stato fatto il PRARU, il programma di rigenerazione approvato con decreto del presidente della Repubblica, ma è una magra soddisfazione. L’analisi di rischio è la base della progettazione esecutiva di ogni intervento di bonifica, almeno se si intende rispettare il percorso di legge. La conseguenza è che un progetto degno di tal nome non c’è, non può esserci, e la prospettiva è che quelle ruspe tra poco non sapranno che fare.

Per dare esecutività e concretezza al recupero di Bagnoli è necessario smetterla di pensarlo come un intervento monolitico, della tipologia “tutto o niente”. Come i dossier delle associazioni ambientaliste e dei sindacati hanno più volte sottolineato, sempre nel silenzio istituzionale, la sterminata area dell’ex acciaieria è fatta di tanti pezzi, a differente grado di problematicità. In molte aree un rischio significativo non c’è, si potrebbe partire subito con la ricostruzione della città. Ma l’ideologia della bonifica come palingenesi globale, la vera, grande opera pubblica da avviare con un investimento da brividi, 400 milioni (che si sommano ai 600 già spesi), prevale ancora una volta. L’urbanistica, quella vera, a Bagnoli non è ancora entrata. Di concorsi d’idee, senza alcun seguito, ne abbiamo già fatti tanti. La nuova città resta un orizzonte indefinito, cui qualcuno un giorno penserà.

La cappa di gelo non dà tregua, il vento taglia forte, mentre il ministro prefigura scenari di sviluppo, all’insegna del green new deal rilanciato in gran pompa dall’Unione europea, ma il percorso è ancora lungo. In tutte le parti del mondo il rinnovamento delle città parte dai trasporti: la sostenibilità, la qualità di vita, la competitività delle imprese inizia lì, peccato sia proprio questa la parte che nel PRARU manca. In questa giornata rabbuiata d’inverno, quello che continuiamo ad ascoltare è il racconto di una pianificazione al contrario, ma si sa, siamo il paese dell’immaginazione e della creatività.

La conclusione è dell’amministratore delegato di Invitalia, Domenico Arcuri: “Finalmente possiamo dire che le nostre parole qui vengono coperte dalle ruspe che possono operare a Bagnoli”. La sensazione è che non siano solo le parole ad essere coperte dal rumore, ma i pensieri.