Antonio di Gennaro, Repubblica Napoli del 26 agosto 2020
L’appuntamento con Peter è a Oliveto Citra, il tragitto della superstrada verso l’Alta Valle del Sele non lo ricordavo così, una strada-paesaggio fantastica, attraverso uno scenario medioevale di colline vergini con boschi a perdita d’occhio. Quando in paese ci affacciamo dal belvedere che domina la valle, tra i Picentini e il gruppo austero dei Monti Eremita-Marzano, al confine con la Basilicata, la veduta mozzafiato ti dice che questo è uno dei pezzi di Campania più belli, che l’Italia è uno strepitoso museo sotto il cielo, proprio nei posti di margine, quelli che frequentiamo meno.
Peter Hoogstaden è un ingegnere olandese che proprio non riesce a invecchiare, ha studiato ingegneria agraria a Wageningen, da piccolo è venuto in Italia con l’idea di fare il pianificatore, strada facendo si è appassionato al turismo sostenibile, il piacere di scoprire i paesaggi rurali camminando. Vent’anni fa quest’idea è diventata impresa, ed è nata Genius Loci, un tour operator che accoglie, assiste e guida turisti da ogni parte del mondo, portandoli sui sentieri lontani dal caos, di un’Italia che molti, troppi connazionali non conoscono.
Ha lavorato duramente Peter, si deve molto al suo impegno se il Sentiero degli Dei è diventato “il sentiero più famoso d’Italia”, ma lui non si ferma, è sempre alla ricerca dell’ultimo angolo poco conosciuto che vale la pena di vivere, è un inventore di paesaggi, nel senso etimologico del termine, quello di dare nuovo significato e valore a luoghi che magari sono lì, sotto gli occhi di tutti, da qualche migliaio di anni.
Se la pandemia ha colpito pesantemente l’intero settore turistico, l’impatto è stato particolarmente duro per i segmenti che si rivolgono al pubblico straniero, che in quest’estate difficile è venuto completamente a mancare. Stagione compromessa, ma Peter non si è fermato, e l’innovazione cui sta lavorando ora è quella di proporre questo turismo diverso al pubblico italiano, un invito a riappropriarsi del Paese, rimanendo magari più vicini a casa propria, senza rinunciare a vivere comunque esperienze intense, sorprendenti, difficili da dimenticare.
E’ per vedere Peter all’opera che sono venuto, per capire come fa: stamattina a Oliveto Citra deve incontrare un gruppo un po’ speciale di persone che a diverso titolo stanno lavorando per far vivere e conoscere questa valle fuori dal tempo, ma che pure il tempo e la storia hanno profondamente segnato, l’epicentro del sisma tremendo del 1980 è su quegli altopiani calcarei, appena dietro le cime silenziose che ci circondano.
Ma la Ricostruzione qui il paesaggio non l’ha distrutto, la vista sulla valle è ancora un quadro settecentesco, un mosaico mozzafiato di coltivi, boschi, filari, tutto curato e coltivato, le case nuove sparse nella valle ci sono, ma nascoste pudicamente nel verde e quasi non le vedi.
Nella minuscola piazza-salotto del paese, con i platani potati ad arte come eleganti pensiline verdi, il monumento ai caduti, gli anziani sulle panchine all’ombra che ci guardano, ci viene incontro Carmine Pignata, è il sindaco di Oliveto, medico, con lui parliamo della difficoltà di tener viva qui una comunità di 3.800 persone, ci parla dell’importanza dello stabilimento per la lavorazione del pomodoro che la Mutti ha acquisito da pochi anni nell’area ASI lungo il fiume, sono posti di lavoro preziosi, l’agricoltura e il turismo restano importanti, ma senza un’economia diversificata fatta di manifatture e servizi questi luoghi non reggono.
Ora il gruppo si completa, ci raggiungono Marzia Spera, geologa e docente, con lei sono Tiziana, Francesca, Rosalia, Massimo, Umberto, tutti soci di “Mefitis”, l’associazione che lei ha fondato, che porta il nome della dea tremenda e misteriosa che da tremila anni veglia sulle mofete, le fonti naturali di gas tellurici che sgorgano dalle viscere della terra. Nel territorio di Oliveto ce ne sono una decina, e su questa singolarità Marzia ha costruito un progetto di visita e conoscenza, lungo un itinerario che ti porta a esplorare buona parte della valle maestosa.
Dai margini del borgo ci inoltriamo lungo il sentiero bordato di querce, fin giù al fondovalle, tra oliveti ben curati, macchie di bosco e filari, campi dorati dalle stoppie di frumento, ruderi silenziosi di abitazioni rurali, con le pietre coperte di licheni.
In questo paesaggio-giardino, dove il presidio agricolo tenacemente tiene, i manufatti storici sono tutt’uno con la natura, come l’acquedotto con gli archi aggraziati in pietra che alimentava la cartiera; e la piccola chiesa quattrocentesca di Santa Maria delle Grazie, ai margini del borgo, con l’immagine della Vergine col Bambino, insolitamente ritratta coi seni scoperti e una corona turrita, che sono poi gli stessi attributi di un gruppo di antiche divinità (la Grande Madre Cibele, la Dea Madre dei Cretesi) della quale la stessa Mefitis potrebbe far parte.
La mofeta che ora incontriamo sperduta nel verde e il silenzio è un laghetto d’acqua gelata ribollente, il colore è lattescente, l’odore pungente di solfuro. Tutt’attorno il suolo è spoglio, incrostato di depositi minerali, solo poche piante specializzate, come il giunco, riescono a crescere, l’atmosfera è sospesa, le immagini dantesche affiorano alla memoria, e capisci perché nei millenni, gli italici prima, i romani poi, abbiano stabilito questi come luoghi di culto: e perché Mefitis (“colei che fuma”, “colei che sta in mezzo”) sia stata la dea della fertilità femminile e dei raccolti, della salute recuperata, e del passaggio tra gli stati diversi della vita, con le acque che guariscono dalle malattie, e il mantello invisibile di anidride carbonica che può invece stordirti e ucciderti.
Tutte queste cose le racconta Marzia, con competenza scientifica (come geologa ha collaborato a lungo con l’Osservatorio vesuviano nello studio e monitoraggio di queste mofete), ma anche con momenti di immedesimazione teatrale, rituale, durante i quali quasi trasfigura nella sacerdotessa dell’antico culto, e comprendo allora cosa sia il “turismo esperienziale” che lei intende proporre, dove non c’è solo lo “storytelling”, il racconto, ma anche lo “story-living”, il rivivere in questi luoghi millenari, esperienze e sensazioni che i nostri progenitori devono aver sicuramente provato.
Il viaggio prosegue, con le mofete che assumono conformazioni diverse, quasi fossero manifestazioni cangianti della dea: fredde acque pullulanti all’interno di inghiottitoi di roccia calcarea, pozze di fanghi gorgoglianti o anche – ed è la forma più impressionante – pozzi asciutti di gas, dove il flusso venefico lo avverti dal sibilo tra le rocce, l’aria che vibra, l’odore e la desolazione nuda che c’è intorno.
E’ il momento di tirare le fila, spontaneamente all’ombra di una farnia ci disponiamo in circolo, oltre a Peter, Marzia e gli amici di “Mefitis” sono con noi Alessandro Di Muro, docente di Storia medievale all’Università della Basilicata che studia questi territori da anni, e il presidente dell’Oasi Regionale “Foce Sele e Tanagro”, Antonio Brescione.
La domanda è una sola: come può un progetto come quello di Marzia e “Mefitis” crescere e svilupparsi, diventare elemento di un’offerta turistica stabile e strutturata? Nella discussione sotto gli alberi i diversi elementi di una possibile risposta iniziano a emergere con una certa chiarezza.
Alla base di tutto, l’investimento principale riguarda il capitale umano, la formazione di attori consapevoli e qualificati, ed è il lavoro che Marzia e l’associazione “Mefitis” cocciutamente conducono da anni. Per far questo, anche lo studio e la conoscenza dei luoghi, che la ricerca geologica, storica, sociale costruisce nel tempo, è un carburante che deve uscire dai libri, e alimentare il più diffusamente possibile le menti e i discorsi delle persone
Così come è importante il sostegno convinto, non episodico dei poteri pubblici. Marzia e “Mefitis” pensano alla creazione di un Parco delle mofete, e guardano anche al “Contratto di fiume” che Antonio Brescione con l’Oasi Sele-Tanagro sta promuovendo, il tentativo di cucire insieme le esperienze innovative lungo l’intero corridoio fluviale, dalla sorgente alla foce, cercando di superare in questo modo egoismi e chiusure municipali, che pure esistono.
Poi ci sono le cose che Peter Hoogstaden sostiene e pratica da anni. Il turismo – e quello che lui ha in mente è sempre un’attività rispettosa, attenta a non consumare la qualità sociale, le risorse dell’ambiente e del paesaggio – è una cosa che riguarda gli abitanti, prima che i turisti: la consapevolezza e la cultura dei luoghi di vita, prima ancora dei flussi di presenze e dei fatturati.
Insomma, un tour operator può certamente aiutare a far nascere quelle che Riccardo D’Acunto – l’economista già docente di Sociologia del turismo alla Sapienza di Roma, che accompagna Marzia e “Mefitis” nel loro percorso – chiama le “micro-reti” di servizi che servono per il trasporto, l’accoglienza, il ristoro, la guida e l’intrattenimento degli ospiti, ma l’energia, la passione e la perseveranza deve mettercele il territorio, con la sua comunità, i suoi amministratori.
Una conclusione, all’ombra della grande quercia, la trova alla fine Umberto, avvocato, e socio di “Mefitis”: c’è una parola, dice lui, che racchiude le cose che abbiamo detto e ascoltato nel viaggio di stamattina. Questa parola è “insieme”, che è poi l’unica strada per uscire dalla crisi.
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