Antonio di Gennaro, Repubblica Napoli del 9 ottobre 2020
La partita contro il Covid diventa sempre più complicata al Sud, con aspetti dolorosi, a tratti paradossali. E’ difficile comprendere come siamo riusciti a produrre il massimo sforzo di attenzione durante il lockdown, quando il virus da noi circolava poco, per poi abbassare inspiegabilmente le difese ora, che il contagio è arrivato veramente. Certo, in mezzo c’è stata una stagione estiva vissuta da troppi segmenti di popolazione, quella giovanile innanzitutto, con un senso di irragionevole euforia, l’idea di esserne usciti fuori, il sentirsi invulnerabili, immuni dal rischio.
Il fatto è che questa seconda ondata non trova le diverse parti d’Italia nelle stesse condizioni. Nelle regioni del Nord dove l’epidemia ha mietuto più vittime, ora sappiamo che il virus circolava dall’autunno precedente, entrando in qualche modo in contatto con una percentuale significativa della popolazione. Se anche restiamo lontani dall’immunità di gregge, il virus ha ora spazi comunque più limitati di ulteriore espansione. Da noi no, la malattia ha davanti praterie potenzialmente sterminate.
L’impatto di tutto questo sulla società meridionale lo ha descritto bene ieri Conchita Sannino nel suo editoriale sulle pagine nazionali di questo giornale (“Il virus nella terra più fragile”). Perché l’altra novità rispetto alla scorsa primavera è che se la prima ondata in qualche modo ha interessato di più i quartieri borghesi, la seconda sta dilagando in quelli popolari e nelle periferie, dove è più difficile mettere efficacemente in atto le misure di contenimento del contagio, perché la rete dei servizi e dell’assistenza è più rarefatta, la capacità economica delle famiglie più debole e precaria, con una quota rilevante dei nuclei familiari, circa la metà, al di sotto della soglia di povertà.
Si tratta di una questione nazionale, che come tale deve essere affrontata dal governo centrale, in strettissima collaborazione con regioni e i comuni. Non è pensabile che i destini che abbiamo voluto credere uniti nel momento del primo lockdown, con misure e sacrifici responsabilmente sopportati dall’intera comunità nazionale, tornino ora a essere considerati alla stregua di questioni locali. Sarebbe un’ingiustizia colossale, la vera fine dell’unità del Paese.
Certo, tornando all’articolo della Sannino, la crisi del Covid colpisce ferite aperte da troppo tempo, da troppo tempo rimosse dal dibattito pubblico. La pandemia non crea problemi nuovi, si limita a amplificare e rendere visibili quelli vecchi. La sofferenza strutturale della terza area metropolitana del Paese continua a costituire una delle principali criticità nazionali ed europee. Le risorse del Recovery fund dovrebbero essere impiegate per questo, non l’elenco della spesa ma gli investimenti necessari e indifferibili, su pochissime priorità che sono la salute pubblica, l’istruzione, la riqualificazione degli spazi quotidiani di vita, il resto viene dopo.
2 commenti
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10/10/2020 a 23:43
erminia romano
Assolutamente CONCORDO! Mi permetto solo aggiungere che manca assolutamente un ESSENZIALE elemento: il potenziamento dei trasporti pubblici che infatti sono tornati abbastanza al..prima del lockdown,con tutte le carenze note! COME evitare di ammassarsi se NON ci si puo’ permettere di aspettare (Godot?) il prossimo autobus/meteo se, a parte i ‘tempi’ spesso incalcolabili, si rischia di trovarsi nelle nelle stesse condizioni?
11/10/2020 a 00:13
Erminia Romano
GRAZIE! Finalmente ricevo.
Abbraccio, Erminia