Il declino della città che ha contraddistinto il lungo decennio jervoliniano continua inarrestabile in questo primo inconcludente biennio della giunta de Magistris. Due anni, un tempo prezioso, sono stati consumati in un evanescente spot, con la mente rivolta non ai problemi della città ma ad una affermazione nazionale, considerata a portata di mano. Le cose sono andate diversamente, altri sono stati beneficiati dai frutti di questo inverno dello scontento. Nel frattempo la crisi della città si aggrava, ed è crisi strutturale.
C’è il dissesto economico, che andava affrontato subito, con decisioni coraggiose, e non ora, sotto dettatura del governo. Il costosissimo colosso delle partecipate, è sempre lì, grande fabbrica di consenso malato, con una gestione opaca della quale non sono chiari gli obiettivi e i benefici reali per la città. Il corpo fisico della città, in mancanza di manutenzione quotidiana, si sta sfarinando. L’urbanistica e la macchina amministrativa sono in stand by: manca assolutamente un’agenda, una strategia per le dieci municipalità, che sono dieci città nella città, mentre il dibattito, anziché allargarsi alla scala metropolitana, si attorciglia inconcludentemente sempre su pochissime, chissà quanto reali, priorità. L’impiantistica per i rifiuti non c’è ancora, continuiamo tutti a pattinare su un ghiaccio estremamente sottile.
C’è poi la crisi principale, che è crisi di classe dirigente, affatto superata dal decisionismo del ristrettissimo cerchio magico di palazzo S. Giacomo, che parla di beni comuni e partecipazione, ma continua a far votare al consiglio provvedimenti preconfezionati, con profili di praticabilità e legittimità sempre pericolosamente incerti.
Eppure questa città dispone di una molteplicità di risorse, culture, esperienze, capacità inutilizzate, dalla precedente come da questa amministrazione. Sarebbe questo il momento di aggregarle, in un’assunzione generale di responsabilità, consapevoli che non ci sono traiettorie e carriere personali da lanciare. Tenere in vita la città è un lavoro duro, ingrato, alla fine nessuno ringrazierà.
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