“Chiamò la sera tardi Daniela, per chiedermi se l’indomani passavo al cantiere di via Diaz. Nello scavo della metropolitana gli archeologi avevano trovato qualcosa. Il fatto è che faccio un lavoro strano: studio i suoli, le terre. Osservando in sezione i diversi strati, analizzandone le caratteristiche minute, cerco di immaginare il paesaggio nel quale il suolo si è formato, il tipo di vegetazione che vi cresceva, come è stato coltivato, la sua storia insomma.

La mattina andai presto al cantiere. Era nella parte alta di via Diaz, all’incrocio con via Toledo: una fossa misteriosa, protetta da una recinzione in lamiera e rete metallica, in mezzo ai palazzi d’affari e alle strade trafficate della city.

Trovai Daniela all’ingresso ad aspettarmi.

La mattina era luminosa. Percorremmo il cantiere sino al fondo dello scavo, ma un’occhiata dall’alto bastò a capire. Alla base del cratere i trowel, le spatole precise e delicate delle archeologhe, avevano ripulito una superficie bruna, piana, segnata da una scacchiera regolare di piccole assolcature.

Nel cuore del centro storico della città, tra i palazzi dello sventramento laurino, i lavori del Metrò avevano riportato in luce il suolo sul quale gli antenati di 4.000 anni fa sperimentarono per la prima volta l’agricoltura. Davanti a noi si presentava in originale l’atto costitutivo di Campania felix.

Io quel suolo l’avevo visto altre volte. A nord, nell’Agro aversano, verso i Regi Lagni, affiora ancora in superficie, non sepolto da eruzioni successive, sedimentazioni, riporti. Su di esso, nei ritagli superstiti dell’urbanizzazione, crescono maestosi i filari di vite maritata al pioppo. Questa terra nera si è formata dalle ceneri dei vulcani flegrei, all’ombra di una foresta che copriva a perdita d’occhio l’intera piana campana.

I nostri antenati neolitici l’abitavano, un po’ come oggi gli Indios la giungla amazzonica: diboscavano piccole superfici, dove costruivano villaggi di capanne e, oltre a raccogliere e cacciare, imparavano a coltivare. è proprio l’humus di quel bosco preistorico a dare al suolo la sua tinta scura, insieme alla fertilità che ancora oggi alimenta i filari rigogliosi di asprinio.

Quella mattina, se chiudevo gli occhi nel cantiere di via Diaz, immaginavo l’antico suolo, testimone silenzioso delle origini, elemento fondativo di una civiltà, stendersi in continuità sotto i palazzi la città le strade le automobili le persone affaccendate, per riemergere a respirare molti chilometri a nord, all’ombra di festoni di tralci che tremano nel vento.”

(da “La terra lasciata”, di Antonio di Gennaro, Clean edizioni)

Testimone silenzioso

I solchi venuti alla luce sull’antico suolo neolitico, nel cantiere della metropolitana di via Diaz, primordi agricoli di 4.000 anni fa.