Venerdì scorso in giro per la piana de l’Aquila, in questa primavera di nuvole grigie e acqua, con Antonio Perrotti, per preparare il convegno del 5 aprile per il quarto anniversario del terremoto. Antonio è uno di quegli strani italiani, come direbbe Erbani, che con la loro testardaggine civile tengono viva la Repubblica, nonostante tutto.
Il centro storico è sempre lì, i soldi sono stati dissipati nelle smanie paternalistiche del progetto C.A.S.E. Nel mentre, gli edifici della città fantasma restano ingabbiati con travi e tiranti, o avvolti nei costosissimi ponteggi della Marcegaglia. Intorno, nel gioiello agricolo della piana, tra le cime innevate, impazza la città fai-da-te, di villette finto provvisorie, in una straniata Casoria di montagna, ugualmente eterna come l’originale.
Quanto visto venerdì a l’Aquila è metafora del Paese. Allo stesso modo a Roma, in carenza di fiducia, leadership e progetto, Napolitano tenta di mettere in sicurezza il quadro istituzionale, concedendo un altro giro a Monti – sempre più armatura vuota, come il cavaliere inesistente di Calvino -, con il puntello dei Violante, Bubbico e Giorgetti, al posto di tiranti e impalcature.
Così inferrettata la città della politica tenta di star su, di prender tempo, sempre più svuotata, disertata,in attesa, mentre la vita pulsa altrove.
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