Di seguito, così com’erano, gli appunti veloci per l’intervento “Salviamo la piana”, tenuto il 5 di aprile 2013, al convegno promosso a l’Aquila dal Comitatus Aquilanus, dal titolo “Se quattro anni vi sembrano pochi”.

La cartografia di Pieter Mortier  dei primi del ‘700 mostra con evidenza come di centri storici l’Aquila ne avesse due: uno di pietra, con le chiese, le strade. le fontane e le case nobiliari dentro le mura; il secondo, tutt’intorno la città, nella piana dell’Aterno: un secondo centro storico fatto d’orti arborati: un ricamo fitto di assolcature, filari, vie campestri, linee d’acqua, con una trama non meno precisa e bella di quella che struttura e innerva il primo.

Nonostante l’impetuosa crescita post bellica, la piana dell’Aterno attorno al capoluogo conserva tutt’oggi ampi brani dell’arazzo verde raffigurato da Mortier, con il disegno fine degli appezzamenti, la rete vivida delle vie d’acqua, l’apertura della conca entro i confini maestosi delle cortine montane.

(L’Aquila, come le altre città abruzzesi, è quadruplicata nell’ultimo cinquantennio, le superfici urbane regionali sono passate da 8.000 a 30.000 ettari, invadendo prima  le conche intramontane, i fondovalle, l’ecosistema prezioso della stretta  lingua di piana costiera; poi aggredendo in forma dispersa e insidiosa il mosaico incantato della collina, quello raffigurato negli strepitosi disegni di Pericoli).

Ora, con i nuovi rioni del Piano CASE, al posto di praterie che resistevano dal tempo dei Sanniti, e le scellerate abitazioni “provvisorie” in mezzo agli orti, nei quali si coltivano ancora ortaggi e legumi d’antica tipicità, il paesaggio solenne e raccolto della conca va trasformandosi in una sguaiata Casoria di montagna.

(E’ una cosa mai vista: l’autorizzazione – basta un lotto da 3.000 mq –  di centinaia di alloggi ipocritamente definiti “temporanei”, si tratta di multiformi casupole che nessuno mai dismetterà),

Tutto questo consumando un suolo prezioso, irriproducibile, perché le terre brune della piana dell’Aterno derivano dalla re-sedimentazione dei materiali già pedogenizzati che le acque erodono dai versanti montani boscati:  suoli fertilissimi, nei quali è come se si concentrasse tutta la fertilità del più vasto ecosistema montano; terre dal regime idrologico fragilissimo, con una falda superficiale completamente indifesa.

Insomma una doppia tragedia: la storia che marcisce entro le mura e, tutt’intorno, un ecosistema ed un paesaggio storico, summa di tremila anni di civiltà appenninica, completamente devastato dai nuovi quartieri, i capannoni industriali che vuoti resteranno, le casupole provvisorie, ma qui di provvisorio ci sono solo le vite delle persone.

P.s. Il duplice sacco del l’Aquila come paradigma dei destino di un intero paese. Come Bush con l’Iraq, Berlusconi ha utilizzato scaltramente il terremoto per la definitiva soppressione del  governo pubblico del territorio. Ad aprile 2009 il dramma del sisma; nel maggio seguente, il doppio annuncio del progetto CASE e del piano CASA. Sono i due provvedimenti con i quali si chiude la storia della pianificazione pubblica in Italia.

Non che prima le cose andassero bene, ma era diverso. Gli strumenti derogatori della programmazione negoziata agivano entro uno schema che era ancora quello dettato dalla costituzione e dalla legge fondamentale del ’42: insomma, erano sbreghi dentro una tela che faticosamente ancora teneva. Dopo il maggio 2009 è tutto diverso: i brandelli di pianificazione che resistono sono per l’appunto scampoli, residui, ostinati velleitarismi, in un contesto generale nel quale la deroga, l’eccezione, il mercimonio sono diventati regola.

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Fig. 1. La cartografia di P. Mortier:  l’Aquila e la sua piana nei primi anni del ‘700.

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Fig. 2. La piana dell’Aterno, oggi
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Fig. 3. La piana dell’Aterno, oggi
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Fig. 4. I suoli della piana, un capitale di fertilità di valore assoluto.

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Fig. 5. I rioni del progetto CASE, sulle antiche praterie sannitiche
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Fig. 6. Gli alloggi “provvisori”, tutt’in giro per la piana.