VORREMMO veramente poter credere, per usare le parole del sindaco de Magistris, alla «resurrezione del cadavere», alla «rivoluzione politica, economica e finanziaria», che sarebbe poi la manovra di bilancio disegnata dall’assessore Palma, «un tecnico diventato politico», approvata dalla giunta nei giorni scorsi, che consentirà al Comune di uscire dal dissesto finanziario nel 2016, con sei anni di anticipo sul previsto.
Che si sia fatta un po’ pulizia nei conti comunali è naturalmente cosa buona e giusta. Le perplessità riguardano la durevolezza dei risultati conseguiti, perché tutto è stato reso possibile dalle risorse straordinarie dei fondi salva-comuni e salva-imprese, 600 milioni in due anni, che rischiano di agire come una robusta iniezione di cortisone, rimuovendo l’infiammazione senza agire sulle cause.
Come ha tenuto a ricordare il sindaco nel presentare la manovra di bilancio, i livelli occupazionali delle aziende partecipate – un esercito di ottomila dipendenti che assorbe ogni anno un terzo circa del bilancio comunale – non sono stati minimamente intaccati.
Si è proceduto invece a operazioni di ingegneria societaria e finanziaria, magari pure utili, ma non in grado da sole di assicurare che questa onerosa macchina clientelare possa finalmente funzionare in condizioni di maggiore efficienza ed efficacia, fornendo ai cittadini napoletani i servizi essenziali ai quali pure hanno diritto.
Questa sì, sarebbe una rivoluzione: agire in modo strutturale sui meccanismi di riproduzione del debito, ridefinire la missione di servizio delle aziende pubbliche, assegnare loro obiettivi inderogabili di prestazione, così da convincere noi tutti, con i risultati più che con gli annunci, della loro effettiva utilità.
Se questo manca siamo alla conservazione di apparati che costituiscono il vero costo della politica, più che gli stipendi e le prebende a consiglieri e onorevoli.
Senza parlare degli aspetti più arditi della manovra, con le aziende partecipate che si sostengono l’un l’altra, in un gioco di finanziamenti incrociati, e qui il pensiero non può non andare al Barone di Münchhausen, che era in grado di tirarsi fuori dalla palude sollevandosi da solo per il codino.
Speriamo non si tratti alla fine di questo, di un gioco di specchi per eludere nell’immediato impegni e responsabilità.
Pubblicato con il titolo “Un’iniezione di cortisone nel bilancio” su La Repubblica Napoli del 12 agosto 2013.
Lascia un commento
Comments feed for this article