Si compie all’insegna della serendipità l’avventura politica di de Magistris, il cercare una cosa per trovarne un’altra, come Colombo con le Americhe. Si era partiti con l’idea di tenere le regate sulla colmata di Bagnoli, per ritrovarsi poi, a furia di aggiustamenti e ripieghi, con la sagra paesana sul lungomare, liberato soprattutto dalle regole. Nel frattempo la squadra di governo è completamente cambiata, con la differenza che, se dai nomi iniziali potevi pure immaginarti un proposito di riforma della macchina comunale, con i Moxedano e i Fucito si torna al piccolo cabotaggio, alla gestione dell’esistente, di un presente reso difficile dall’assenza di risorse e dalle macerie del lungo decennio jervoliniano.
Anche l’orizzonte strategico è mutato: se i primi due anni di amministrazione sono stati deliberatamente sacrificati ad un progetto politico di scala nazionale, poi malamente naufragato, si riscoprono ora improvvisamente fascino e vantaggi dell’esperienza locale, avviando abboccamenti e sondaggi in vista di una eventuale riconferma. Tutto lecito naturalmente, meglio sarebbe però farlo presentando alla città un bilancio di metà mandato, con un confronto ragionato tra gli obiettivi a suo tempo dichiarati ed i risultati conseguiti. Occasioni come il conclave di giunta nell’hotel di Fuorigrotta dovrebbero servire a questo, ma è meglio non contarci troppo. Più probabile che si parta con nuovi annunci, finendo col trasformare l’intera consiliatura in un lungo spot elettorale, mentre la città muore.
Una simile congiuntura dovrebbe risultare propizia per delle opposizioni che volessero riorganizzarsi, accreditarsi come alternativa, esercitando nel vuoto amministrativo e programmatico che si è creato un proprio ruolo di proposta e controllo, e invece è tutto un correre in soccorso al sindaco vacillante, nel terrore quasi di un suo eventuale fallimento. Da questo punto di vista, l’esperimento napoletano, con un consiglio comunale post-partitico, oramai totalmente destrutturato, ed una maggioranza costruita di fatto su una molteplicità di accordi individuali, dei quali non sono mai noti finalità e portata, finisce con l’evidenziare gli inconvenienti dell’attuale modalità di elezione diretta dei sindaci allorquando, nel deserto della politica, un’impostazione personale, demagogica e familistica finisca col prevalere.
Il rammarico sta nel fatto che non sarebbe poi così difficile comporre un’agenda e una strategia per Napoli, partendo da poche priorità basilari, evidenti alle persone di ordinaria ragionevolezza, che pure in questa città sono costrette tutti i giorni a vivere. Ma non sono questi aspetti rilevanti per un discorso politico che privilegia la rimozione della condizione presente, il rimando a prospettive diverse e luminose, sempre tralasciando di indicare un percorso più o meno faticoso, realistico e misurabile di avvicinamento.
Antonio di Gennaro, 31 agosto 2013.
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