Antonio di Gennaro, 9 novembre 2013
La tempesta mediatica che ha scosso l’agricoltura in Terra di Lavoro e in Campania si sta rivelando un importante momento di riflessione e apprendimento collettivo, producendo effetti inattesi e positivi. La novità è che, dopo aver accusato il colpo, il settore agricolo regionale si è finalmente attivato, alla ricerca di risposte concrete alle preoccupazioni di un’opinione pubblica sconcertata, proprio come auspicato da Ugo Leone nel suo articolo su Repubblica del 7 novembre scorso.
Il fatto, senza precedenti in Campania e in Italia, è che tutte le Organizzazioni dei produttori agricoli (OCM, organizzazioni comuni di mercato) della regione hanno adottato il protocollo di controllo dei prodotti agricoli messo a punto a tempo di record dal Dipartimento di Agraria, in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico e l’Arpac. Le organizzazioni hanno siglato una convenzione con l’Università, i cui tecnici effettueranno i campionamenti in azienda, e analizzeranno i prodotti agricoli nei laboratori del Dipartimento di Chimica della Federico II.
I controlli analitici, che partono immediatamente ed avranno massima pubblicità, andranno ben oltre quelli previsti dalle disposizioni comunitarie e nazionali, con la ricerca di tutta la gamma di sostanze organiche e inorganiche che potrebbero contaminare i prodotti in caso di presenza di rifiuti. L’approccio è quello di considerare il prodotto agricolo come bio-indicatore della qualità dell’ecosistema agricolo dal quale esso proviene, proprio come suggerito dall’Istituto Superiore di Sanità.
Non era mai successo che i produttori campani si stringessero insieme in questo modo. Le difficoltà che il settore si trova a fronteggiare costringono a riscoprire le virtù di un associazionismo da noi storicamente gracile. L’auspicio è che l’unità operativa e di intenti ritrovata, resista anche dopo, mettendo fine ad una condizione di disgregazione che ha condannato alla subalternità un settore strategico per l’economia regionale, la coesione territoriale, la qualità dei suoi paesaggi.
Questa sinergia tra il settore privato e le strutture pubbliche di ricerca e controllo appare come la risposta più seria alla crisi in corso e alle aspettative dei cittadini-consumatori, più delle paventate misure interdittive, che hanno tanto l’aspetto di grida manzoniane, o di leggi speciali che, nell’indeterminatezza di strumenti e obiettivi, finirebbero per bollare a tempo indeterminato questo pezzo d’Italia, aprendo uno stato di eccezione al quale Dio solo sa come si riuscirebbe a porre termine.
Articolo pubblicato su Repubblica Napoli del 10 novembre
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