Antonio di Gennaro, 6 gennaio 2013
Ha perfettamente ragione Raffaele Cantone nella sua intervista a Conchita Sannino, quando afferma che “c’è bisogno che le istituzioni riprendano in mano il pallino delle decisioni”. Il fatto è che per agire bisogna disporre della conoscenza, della credibilità e del potere necessario, e tra questi ingredienti non è certo il primo a difettare. Innanzitutto, disponiamo di adeguate conoscenze su quello che è l’epicentro della crisi, gli ottocento ettari di terre di desolata pertinenza delle grandi discariche della piana campana, che il Piano regionale di bonifica ha diligentemente perimetrato sin dal 2005. Ottocento ettari abbiamo detto, una superficie paragonabile a quella di un grande impianto industriale, non quindi la generalità del territorio. Nei giorni scorsi i ricercatori della Federico II hanno pubblicato in rete (l’indirizzo del sito è www.ecoremed.it) cartografie estremamente dettagliate dello stato di salute dei suoli agricoli dell’intera piana campana, frutto di più di 3.000 campionamenti. Si tratta per inciso di conoscenze non disponibili, con dettaglio comparabile, per nessun’altra area geografica, a scala nazionale e continentale. Il profilo ambientale della piana campana che ne esce è del tutto simile a quello delle altre pianure italiane ed europee ad elevata antropizzazione. Non dimentichiamo che sui suoli vulcanici fertili della fascia costiera abitano quattro milioni e messo di persone, all’interno un’area metropolitana tra le più scombinate del mondo. Ed è questo il punto. Il sacrosanto furore civile dei comitati, che per la prima volta hanno assegnato un ruolo politico all’hinterland, nel passato sempre subordinato alle vicende di un capoluogo incapace di visione e di leadership, deriva da quello che Fabrizio Barca definirebbe come un drammatico deficit di cittadinanza. Stiamo parlando di una parte d’Italia dove tutti gli indicatori di prestazione sanitaria, educativa, ambientale, economica e civile sono clamorosamente carenti. Da questo punto di vista, con l’infelice slogan “terra di fuochi” si connota più o meno consapevolmente una patologia complessiva che affligge uno dei sistemi urbani più sofferenti del cosiddetto mondo civilizzato. Se questo è il problema, se queste sono le conoscenze disponibili, le difficoltà come ha sottolineato Cantone sono tutte di carattere decisionale. Oggi si tengono in Senato le audizioni pubbliche per recepire le proposte di modifica al decreto governativo, avanzate da associazioni e comitati. Speriamo siamo utili a comprendere che il problema non è il deficit di conoscenza ma l’inconsistenza delle politiche pubbliche per il Mezzogiorno, insieme alla fragilità dei poteri locali, che dovrebbero essere sostenuti, forzati magari ad esercitare le proprie prerogative, evitando le forme sterili di commissariamento che il gracile dispositivo attualmente propone.
Articolo pubblicato su Repubblica Napoli del 7 gennaio 2014 con il titolo “Terra dei fuochi, la crisi in un’area di 800 ettari”.
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