Antonio di Gennaro, 17 gennaio 2014

Alla fine, con l’ultima versione del decreto “Terra dei fuochi”, siamo passati dal blitzkrieg, dalla guerra lampo, a quella di posizione: rispetto alla stesura iniziale, i meccanismi di attuazione, se possibile, si complicano ancor di più, mentre si moltiplicano gli studi propedeutici, c’è n’è per molti istituti nazionali, tutti operosamente alla ricerca di lavoro. Come c’è il notevole investimento (3 milioni) sul telerilevamento, l’occhio di Ismaele che dovrebbe scovare dall’alto i siti contaminati. Peccato che queste informazioni già abbondino per la piana campana e, come magistralmente illustrato su queste pagine da Benedetto De Vivo, nel nostro caso servano a poco.

Tutto questo mentre gli amici epidemiologi mi spiegano avviliti come lo screening della popolazione, che costerà alcune decine di milioni, così come proposto dal decreto, potrà tranquillizzare qualcuno, ma non porterà a nulla. Perché i test di massa hanno senso quando consentono una diagnosi rapida, sicura e precoce di una patologia specifica ed efficacemente trattabile, come per il tumore alla mammella, al collo dell’utero, al colon. In questo caso, invece, non è chiaro cosa si vada a cercare, e cosa si dirà poi alle persone.

Quanto all’impiego dell’esercito, cosa dire, male non fa, anche se resta da capire quanto queste esibizioni muscolari temporanee dello stato contribuiscano a supplire, in progresso di tempo, all’incapacità di amministrazioni e comunità locali di tenere in ordine i propri territori.

Infine, non manca nemmeno la relazione semestrale al parlamento, ed è questo il segno certo che la crisi è stata oramai metabolizzata dall’apparato burocratico, e si presta ad essere trattata alla stregua di tutte le altre ordinarie tragedie di questo paese, in un tran tran che potrà durare anni, del quale è importante cogliere tutte le opportunità spicciole, poco importa se nel frattempo un’intera regione rimane sospesa, in attesa di giudizio.

Eppure le priorità di intervento, le aree da mettere in sicurezza le conosciamo da quasi un decennio, senza bisogno del satellite o di raffinate esercitazioni accademiche, sono tutte ben individuate nel Piano regionale di bonifica, al di là dei diversivi contenuti nel decreto, e la situazione allora è simile a quella di un poveretto che giunga ad un pronto soccorso con evidenti ferite da proiettile, e venga curato con un collirio o un’aspirina.

Mentre scrivo, mi telefona un amico per darmi in anteprima la notizia del dissequestro delle produzioni agricole di Caivano: dopo tanto clamore, le analisi ufficiali dicono che quegli ortaggi sono a posto, l’agricoltura c’entra ben poco, ma il danno oramai è fatto, la quota di mercato della nostra orticoltura di qualità è fortemente a rischio, le aziende agricole stanno chiudendo.

La cosa curiosa è che tutto questo ambaradan è pagato con i soldi della Campania. Almeno prima con i commissariamenti (e quello introdotto dal decreto di fatto lo è) arrivavano anche le risorse: al di là dei risultati, che non interessavano nessuno, c’era almeno da scialare. Ora, invece, c’è solo un’attestazione di minorità e inaffidabilità a tempo indeterminato, forse ce la siamo meritata, ma non serve a niente.

Pubblicato su Repubblica Napoli del 18 gennaio 201. Illustrazione di Attilio Mussino (da http://principieprincipi.blogspot.it)

Un decreto per scoprire quel che già sappiamo  (2)