Antonio di Gennaro, 19 luglio 2014
Ha un bel dire Roger Cohen nell’articolo pubblicato da Repubblica lo scorso 12 luglio, che nell’era del web lo spazio e’ abolito, la geografia non conta, e l’indirizzo email è più importante ormai di quello civico. Il mondo del ventunesimo secolo sarà anche diventato “flat”, piatto, come suggerisce nel suo libro Thomas Friedman, ma pure accadono cose che ci riportano alla nostra dipendenza dall’ambiente fisico; a un’oggettiva difficoltà a gestire e curare i luoghi che abitiamo, che si rivelano improvvisamente minacciosi e insicuri, ci si rivoltano contro, e qui un unico filo rosso sembra legare fatti anche assai diversi, si tratti di alberi urbani che schiantano, cornicioni che si sbriciolano sulle nostre teste, aree agricole mortificate dai rifiuti.
Per tremila anni la cura e il controllo dell’habitat hanno improntato i nostri comportamenti quotidiani, ed è così che sono nati i grandi paesaggi urbani e rurali che rendono unico il nostro paese, ma ora quel tempo è finito, la manutenzione del mondo non è più una priorità. Prevale adesso una corsa all’uso e al consumo, giorno dopo giorno, della città e dei paesaggi che abbiamo ereditato, senza sostenere i relativi costi di mantenimento. Gli inconvenienti di una simile scelta risultano evidenti, mentre le cause sono molteplici.
Pesa senza dubbio la crisi della finanza pubblica, come anche il declino di quelle strutture e competenze tecniche che si preoccupavano di tenere in efficienza strade, alberature, reti idriche, fognature. Ma l’aspetto che sembra prevalere è la perdita di prospettiva futura. La manutenzione del mondo è cosa che può interessare una comunità ancora sensibile alle necessità dei giorni e delle generazioni a venire, che sente di dover lavorare anche un po’ per essi. All’opposto, nel discorso pubblico, la cura ordinaria del nostro ambiente di vita e’ argomento tremendamente privo di appeal, con il quale non si vincono campagne elettorali, ne’ si costruiscono programmi di legislatura.
Peccato, perché proprio attorno alla manutenzione un’economia locale potrebbe riattivarsi, magari più sobria e attenta a risultati e priorità. In questo modo, invece, il paese si impoverisce, perde funzionalità e bellezza, mentre aumenta il debito pubblico territoriale, sarebbe a dire il costo per rimettere le cose a posto e riparare i danni, che supera oramai di gran lunga quello, più di sovente richiamato, della finanza.
Articolo pubblicato su Repubblica Napoli del 22 luglio con il titolo “La manutenzione non è più un valore”
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