Antonio di Gennaro, 12 gennaio 2014
C’è qualcosa che non va in un paese che ha addirittura bisogno di una sentenza di Cassazione per sapere se un suolo agricolo è coltivabile, se una certa acqua può essere utilizzata o meno per irrigare le colture; un paese nel quale la magistratura è chiamata sistematicamente ad agire come arbitro di ultima istanza, su questioni delle quali, in tutti gli altri posti del mondo, si occupano amministrazioni e servizi tecnici ordinariamente competenti.
Così è avvenuto per i pozzi agricoli sequestrati a Caivano. La Cassazione aveva imposto al Tribunale del Riesame di riconsiderare l’istanza di dissequestro presentata da uno degli agricoltori, in primo tempo rigettata. Il ragionamento alla base della sentenza di Cassazione non fa una grinza: se i prodotti agricoli, come a Caivano, alla fine sono risultati del tutto in regola, il reato di avvelenamento non sussiste, tanto più che gli elementi chimici in eccesso nelle acque irrigue sono naturali, fanno parte del “valore di fondo”: a questo punto, il sequestro cautelativo e le limitazioni imposte alle attività agricole non hanno più alcun fondamento.
Ieri c’è stato il nuovo pronunciamento del Riesame, con un colpo di scena che proprio nessuno poteva prevedere. Come nel Monopoli, si torna tutti alla casella di partenza, perché il Riesame, anziché pronunciarsi nel merito, ha scovato un vizio procedurale nell’originaria ordinanza di sequestro dei pozzi, che invalida tutti i passaggi successivi: il ricorso dell’agricoltore, la prima sentenza del riesame, il pronunciamento della Cassazione. Tutto inutile, abbiamo scherzato, bisogna iniziare daccapo.
Il problema è che, nel frattempo, questi atti ora dichiarati non validi dal Riesame, questi ectoplasmi giuridici, hanno avuto conseguenze maledettamente concrete sull’attività degli imprenditori agricoli, le cui aziende e i cui investimenti sono andati in malora. Tre cicli colturali sono saltati: i fondi sequestrati, da luoghi del lavoro, sono diventati terre di nessuno, spazi vuoti di senso e civiltà.
Cosa succede ora è difficile prevederlo. La cosa più ragionevole sarebbe quella di spazzare via i fantasmi, e tornare alla sostanza delle cose, ripartendo dai criteri di legge, scientificamente fondati, che la Cassazione ha indicato per valutare e dirimere la questione. Dopo mesi di incertezza, sarebbe il modo migliore per proteggere davvero l’interesse dei consumatori, e la reputazione di un’economia agricola che, tra mille difficoltà, tiene ancora viva la grande piana, ai confini della città.
2 commenti
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12/01/2015 a 23:31
marco
analisi lucida e quanto mai pertinente. mi complimento con ammirazione per la sintesi eloquente dell’ennesimo pasticcio all’italiana
16/01/2015 a 12:22
titticimmino
“Ma io non sono colpevole,” disse K., “è un errore. E poi, in generale, come può un uomo essere colpevole? E qui siamo pure tutti uomini, gli uni quanto gli altri.” “È giusto” disse il sacerdote, “ma è proprio così che parlano i colpevoli.”
grazie Prof.