Antonio di Gennaro, 8 gennaio 2015
Poi dici la coerenza: avevo scritto che non me ne sarei interessato più, ed ecco invece un altro pezzo… Il fatto è che ero stato contattato da Servizio Pubblico, insieme a Mario Fusco, per partecipare ad una puntata sul tema (poi rimandata a causa della barbarie criminale che ha travolto i giornalisti di Charlie Hebdo), e volevo riordinare le idee. Naturalmente il punto non è più l’uso che si è fatto dello show di Capodanno al Plebiscito, rispetto al quale ho espresso per tempo le mie perplessità (vedi il post “La finestra di opportunità”, pubblicato da Repubblica lo scorso 15 febbraio con il titolo “Terra dei Fuochi, 75 milioni buttati”, e anche il più recente “Viva Zapata!“). Qui si parla delle cose che Gigi D’Alessio ha detto, che sono sacrosante, ed allora è utile ragionare sui motivi che possono aver scatenato reazioni contrarie così forti. Adg
Il povero Gigi D’Alessio non se l’aspettava proprio la gragnuola di reazioni sdegnate e di commenti critici alle sue affermazioni durante lo show di Capodanno. Il problema non riguarda la verità delle cose che il cantante ha detto, che sono sacrosante: migliaia di analisi sui prodotti agricoli della piana campana hanno confermato la loro assoluta qualità e sicurezza. Il problema è che queste affermazioni mettono in crisi lo schema di ragionamento implicito ché sta dietro lo slogan della “Terra dei fuochi”, e che potrebbe essere sintetizzato così: “La pianura tra Napoli e Caserta è stata massicciamente oggetto nel corso di un trentennio di pratiche di sversamento e seppellimento illegale di rifiuti, che hanno causato l’inquinamento generalizzato dei suoli e delle acque. I prodotti agricoli coltivati su questi suoli sono irrimediabilmente avvelenati, e il loro consumo è una delle cause della più elevata incidenza in quest’area di malattie tumorali”. L’espressione “Terra dei fuochi” si è trasformata tecnicamente nel luogo comune che condensa queste diverse affermazioni, collegate tra loro in una catena stringente, auto-evidente di ragionamento, che a questo punto può, anzi deve essere assunta nel suo complesso, senza possibilità di confutazione o smentita, pena il cedimento a forme odiose di negazionismo. In quanto luogo comune di uso corrente, l’espressione “Terra dei fuochi” è entrata addirittura, come neologismo, nel dizionario Treccani.
Il fatto è che questo schema di ragionamento si è rivelato inconsistente, non ha retto la prova dei fatti, i rilevamenti, le misurazioni, il check-up approfondito dell’ecosistema. I dati a nostra disposizione dicono che l’ecosistema della piana campana non è perso per sempre, e soffre degli stessi acciacchi delle pianure europee ad elevato gradi di antropizzazione; che una strada per uscire dalla crisi c’è, e non è quella di inattuabili bonifiche globali, ma la messa in sicurezza delle ferite, già ben individuate da ben due piani regionali e, soprattutto, il governo e la cura quotidiana di un territorio maltrattato.
Quello che i critici di D’Alessio dovrebbero comprendere è che i fenomeni territoriali e sociali sono eventi complessi. La crisi della piana campana lo è in modo particolare. Nessuno di noi possiede le competenze per un’analisi esaustiva e definitiva. Occorre avere l’umiltà e l’intelligenza di ragionare e lavorare insieme.
Quando parliamo della storia e del funzionamento delle organizzazioni criminali l’autorità di Roberto Saviano è fuori discussione. E’ vero però che le conseguenze ecologiche e sanitarie dei fatti criminali, la loro effettiva portata territoriale, non sono meri corollari, un dato sociologico o letterario, teoricamente deducibile a tavolino. Si tratta di cose che vanno verificate, misurate, sapendo che il funzionamento degli ecosistemi è una cosa complessa.
Analizzare sul campo i fatti ecologici non significa per nulla negare i fatti sociali e criminali che sono stati faticosamente accertati. Interpretare correttamente i dati sulla salute degli uomini e degli ecosistemi agricoli della Terra dei fuochi non significa minimamente sminuire, circoscrivere o relativizzare la gravità dei crimini commessi, come anche la necessità impellente di politiche pubbliche adeguate. E’ evidente però che per uscirne fuori, per un progetto di ricostruzione della società e del suo territorio, non c’è bisogno di maledizioni bibliche, di un surplus di terrore. Né di screditare un settore, quello agricolo – e qui D’Alessio ha ragione da vendere – che si è rivelato alla fine, nel caos informe dell’hinterland, l’unica cosa che funziona. Il disastro vero sarebbe se le 38.000 aziende agricole della piana fossero davvero costrette a chiudere. Allora si che avremmo creato un immane deserto economico e sociale, proprio quello che le forze criminali e speculative stanno febbrilmente aspettando.
Pubblicato su Repubblica Napoli del 21 gennaio 2015 con il titolo “Terra dei Fuochi nella Treccani”
3 commenti
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09/01/2015 a 10:48
Silvestro Gallipoli
beh, Antonio, sulla “autorità” di Roberto Saviano e sui fatti criminali “faticosamente accertati” permettimi di avere un dubbio se non, addirittura, dissentire….
10/01/2015 a 15:40
titticimmino
Grazie!
Facendo riferimento alle Sue “umiltà e intelligenza di lavorare insieme”, Le propongo di “ritornare alla Scuola”.
La invito alla condivisione, a partire dai dati scientifici, attraverso un confronto con studenti e docenti.
Titti Cimmino
docente di Matematica e Fisica presso il Liceo Scientifico “Torricelli” di Somma Vesuviana.
Responsabile Forum Istruzione e Formazione PD Napoli
10/01/2015 a 19:31
antonio di gennaro
Cara Professoressa Cimmino, grazie a lei. Sono a sua disposizione, dalla scuola in verità non sono mai andato via. A presto, Adg