Antonio di Gennaro, 28 agosto 2015

A ben vedere, il punto non è se di Napoli si debba parlare bene o male: ciascuno è abilitato, sulla base del proprio segmento di esperienza e comprensione della realtà, a sviluppare un personale racconto, a fornire la propria versione dei fatti. Il problema è quando si pretende che questo punto di vista sia esclusivo, una sorta di schema totalizzante, e si rischia allora di produrre non opinioni ma luoghi comuni, stereotipi, cliché. E’ quanto è successo con la Terra dei fuochi, dove sulla base di un giudizio sommario, privo di riscontri, stavamo buttando a mare l’intera agricoltura regionale, una delle poche cose che alla fine funziona, in questa nostra povera terra scombinata.

Senza Chandler, è difficile comprendere alcune atmosfere urbane degli States, ma se quella realtà fosse davvero riconducibile solo all’hard boiled sarebbe un inferno, una caricatura paradossale, ed è per questo che c’è anche bisogno dell’umanesimo di John Ford, e perfino di Frank Capra. Il valore della serie televisiva “Gomorra” non si discute, è diventata un pezzo importante della cultura popolare. La cosa importante poi, è che spenta la tivù, terminata la fiction, non prevalga l’assuefazione, e si lavori attivamente per migliorare le condizioni di vita di quelle periferie.

Oltre che di racconti, abbiamo soprattutto bisogno di progetti credibili, ed è su questi che sarebbe utile confrontarsi, se non si vuole che tutto si riduca all’inutile scontro di opposti schematismi, se non di sterili personalismi. Alla domanda su cosa volesse scritto sulla sua tomba Brecht rispose: “Fece delle proposte”, ed è questa anche la nostra priorità assoluta. Per il resto, tutti i racconti possono essere utili, quelli scuri come quelli chiari, se ci aiutano a decifrare in modo adulto la realtà complessa nella quale ci troviamo a vivere,  a elaborare soluzioni e percorsi operativi. Rifuggendo le letture unidimensionali, come ci invita a fare Tolstoj, che al termine delle oltre 1800 pagine di “Guerra e pace”, si guarda bene dal dirci chi secondo lui, tra Pierre e il Principe Andrej, avesse alla fine ragione, lasciando giustamente aperta la questione.