Antonio di Gennaro, 15 ottobre 2015

1949-alluvione-benevento

Li trovi tutti scorrendo sulla carta la linea azzurra del fiume i comuni sconvolti dall’acqua e dal fango la scorsa notte, dalla collina interna del Sannio giù fino al litorale domizio: Reino, Pesco Sannita, S. Giorgio La Molara, Pago Veiano, lungo il Tammaro; poi Benevento e Vitulano sulle sponde del Calore, fino a Guardia Sanframondi e Solopaca in quel giardino di viti e olivi che è la Valle Telesina. Dopo la confluenza col Volturno c’è Dugenta, e poi ancora le città della piana: S, Maria Capua Vetere, S. Maria a Vico, S, Felice a Cancello, Casal di Principe, Gricignano; infine a Castelvolturno l’onda distruttiva è giunta esausta alla foce. E’ un bollettino di guerra, in una tragica nottata mezza regione è andata sott’acqua e Benevento è la città più colpita.

Il capoluogo sannita sorge in posizione delicata: la città è al centro di una ragnatela di corsi d’acqua che innerva tutto il Sannio, scorrendo giù dai monti Picentini, dall’Alta Irpinia e dal Fortore, raccogliendosi infine nel Calore, il fiume antico che cinge Benevento come in un abbraccio, e che raccoglie tutta l’acqua di questo sconfinato paesaggio. Con i 160 millimetri piovuti nella notte in poche ore (una quantità di pioggia che supera di gran lunga quella che dovrebbe cadere in un mese) l’intero bacino del Calore e dei suoi affluenti – l’Ufita, il Tammaro, il Sabato – è andato irrimediabilmente in crisi: il livello del corso d’acqua principale è salito in breve tempo di due metri; i fondovalle, le golene, le aree di pertinenza del fiume sono state inondate, e con esse interi quartieri, con le case, le fabbriche, le infrastrutture che queste aree hanno incautamente occupato. Insomma, il fiume si è ripreso in un attimo lo spazio che la città gli aveva sottratto, ma sott’acqua sono finite anche estensioni rilevanti di territorio agricolo, con le stalle, i vigneti, le colture di pregio. I danni sono immani, c’è anche purtroppo un tributo di vite umane, e la memoria storica deve tornare all’alluvione dimenticata dell’ottobre  1949, che causò a Benevento una ventina di morti e l’inondazione di quasi mezza città.

Occorrono notti tragiche come quella del 14 ottobre per ricordarci quanto sia fragile la Campania, e quanto sia a rischio il suo sistema insediativo: quasi 20.000 ettari di aree urbanizzate, sarebbe a dire due volte la città di Napoli, si trovano in aree a rischio idrogeologico elevato o molto elevato, per non parlare di quello vulcanico. Dal 1949, l’anno dell’alluvione di Benevento, la superficie urbanizzata regionale è aumentata di sei volte, da 20.000 a 120.000 ettari, e i tre quarti di questa nuova urbanizzazione sono in pianura e intorno ai vulcani attivi, sarebbe a dire le aree più fertili e quelle più pericolose. Inutile dire che questa deflagrazione urbana, che continua al ritmo di 2.000 ettari l’anno, è avvenuta in assenza di programmazione, il territorio è stato occupato prescindendo da ogni corretta analisi di vulnerabilità, e questo ha comportato un aumento del livello di rischio, con costi ricorrenti altissimi per la nostra sicurezza e per l’economia. Certo il problema è di scala nazionale, il costo dei disastri naturali in Italia (ma qui di naturale c’è veramente ben poco) è stato stimato dai ricercatori del CLES in 1200 milioni di euro l’anno a scala nazionale, una sorta di ipoteca ambientale permanente che grava sulle spalle del paese, ma i fatti dell’altra notte confermano quanto la Campania debba certamente considerarsi tra le regioni più esposte.

Ad aggravare ulteriormente il rischio c’è il cambiamento climatico: la frequenza degli eventi meteorici eccezionali, come quelli del 14 notte, è aumentata, i tempi di ritorno si sono drammaticamente accorciati, mentre la nostra capacità di prevedere per tempo con esattezza in quale punto del bacino si schianterà la bomba d’acqua appare ancora limitata. Tutte queste cose dovrebbero condurre verso un’unica direzione, che è quella di un’attenzione vigile e costante per il territorio, in termini di previsione, manutenzione, cura, prevenzione, capacità di gestire le emergenze, ma siamo evidentemente ancora lontani da ciò, se oggi in Campania, secondo i dati ufficiali della Protezione civile, meno di del 40% dei comuni della regione è in possesso di un piano di emergenza, contro una media nazionale del 77%.

Questi dati preoccupanti dicono che, tra le priorità della nuova amministrazione regionale, deve trovare posto, in posizione di vertice, quella di costruire una volta per tutte in Campania le condizioni per un governo responsabile del territorio. La precedente amministrazione aveva finito con l’espungere completamente questo tema dall’agenda politica e amministrativa, quasi che la cura della casa comune rappresentasse un vezzo o una vanità. Occorre ora una drastica correzione di rotta, un’assunzione piena di responsabilità. Il governo del territorio è un tema centrale per la sopravvivenza della Campania, che necessita di una delega politica e amministrativa piena, dedicata, non compatibile con altri gravosi impegni. I fatti tragici della notte scorsa ci ricordano che non abbiamo molto tempo davanti, bisogna agire subito.

Pubblicato su Repubblica Napoli del 16 ottobre con il titolo “Il territorio saccheggiato”