Marco Rossi-Doria, Repubblica Napoli 20 dicembre 2015
E’ anno elettorale. E ognuno di noi vorrebbe una città che finalmente esca dal declino e ritrovi il suo posto nel Paese. Una città guidata da una squadra che sappia realizzare quello scatto d’orgoglio che Napoli chiede e spesso sa suggerire, da moltissimo tempo. Sì, una squadra – di giovani e non giovani – scelta per merito nell’affrontare i nodi del mancato sviluppo locale, della povertà, della crisi educativa, della ripresa dei cantieri urbanistici, culturali e sociali fermi, per la capacità di ascolto metodico, per la decisiva competenza di sapere mettere insieme guida politica e funzionalità amministrativa; un governo cittadino finalmente più leale che fedele a un sindaco che, a sua volta, sia sufficientemente liberale, sicuro di sé e munito di cultura organizzativa moderna da saper evitare le ossessioni del controllo e la demagogia e da saper rendere conto delle cose fatte e da fare. Chiamando anche noi cittadini a essere più adulti e a smetterla di credere nell’ennesimo “salvatore della patria” che ci de-responsabilizza dalla fatica dei miglioramenti graduali, complessi, misurabili. Forse finalmente saremmo capaci di maturità, di più piena cittadinanza. E sapremmo affiancare e incalzare il governo cittadino ciascuno per le cose che conosce e che sa fare, anche da posizioni di opposizione, accolti a nostra volta per le nostre competenze e realistiche proposte.
CHE in tanti abbiamo nutrito e messo alla prova ovunque in città negli anni. E forse potremmo anche disintossicarci da un rivendicazionismo localistico, un po’ straccione e inconcludente e sostenere un’amministrazione capace di ripensare il rapporto della terza città d’Italia con il governo nazionale favorendo così l’arrivo di risorse anche straordinarie, indispensabili per affrontare una situazione di straordinaria gravità, qual è la nostra, dal punto di vista della legalità, della vivibilità, del lavoro, dello sviluppo locale, della coesione sociale. Nello spirito che fu di Nitti, all’inizio del secolo scorso.
È sano e anche possibile aspirare a tutto questo. Ma per tradurre tale aspirazione in politica andrebbe impressa, già subito, una svolta al dibattito pubblico da parte di chi fa politica. Che proponga di affiancare ai candidati le squadre di qualità che la situazione richiede, che metta l’accento sulle questioni da risolvere, nutrendo il dibattito con le analisi puntuali e i dati, che non dica solo cosa fare ma come fare, in quali tempi, con quali risorse.
Sarebbe, insomma, ora di avere una campagna elettorale magari dura ma che entri nel merito delle cose superando l’ossessione personalistica.
La crisi strutturale di Napoli, che non ha pari per dimensione multi-fattoriale – in nessuna altra metropoli europea, dovrebbe consigliare ai protagonisti della politica una simile svolta nei modi di condurre questa campagna elettorale.
Ma purtroppo fino ad oggi così non è. Il Partito Democratico – la forza che ha maggiori responsabilità pubbliche perché più a lungo ha guidato Regione, Provincia, Comune e segnato la vita politica – si avviluppa quasi unicamente sul vetusto dilemma: Bassolino sì o no. Come se vent’anni non fossero passati o la “città dei bambini” si fosse davvero realizzata. La destra è quasi afona su cosa e come fare. Il sindaco uscente è più attento alla difesa d’ufficio che all’esame, magari anche auto-critico, sul da fare. Il Movimento Cinque Stelle è ancora al di qua del proporre soluzioni di merito.
E, per ora, proprio nessuno chiama a raccolta le esperienze diffuse e le energie competenti in modo non strumentale ma davvero aperto, fondando così una promessa di nuovo patto tra politica e città.
Il fatto è che la politica – a Napoli, ancor più che altrove – è così centrata su se stessa e sulla difesa delle posizioni di rendita da non riuscire neanche a registrare la gigantesca voragine, da tempo aperta, tra la città e la politica stessa.
«Ogni volta si dice così» – qualcuno obietta, quando si fanno questi ragionamenti.
Ma è la progressione spaventosa nei dati dell’astensione che mostra come stanno le cose.
Eccola: confrontiamo i dati delle elezioni politiche (Camera dei Deputati), in Italia e, nello specifico, a Napoli, dal 1992 a oggi.
In Italia alla Camera votarono il 93,19% nel 1992, l’82,88% nel 1996, l’81,38% nel 2001, l’83,62% nel 2006, l’80,51% nel 2008, il 75,20% nel 2013.
A Napoli votarono, alla Camera, il 90,95% nel 1992, il 75,56% nel 1996, il 76,16% nel 2001, il 73,47% nel 2006, il 67,68% nel 2008, il 60,10% nel 2013. Con un aumento dell’astensione molto più forte rispetto allo scenario nazionale, come si evince dal confronto.
Veniamo adesso al dato delle elezioni comunali a Napoli (primo turno): nel 1993 votarono il 67,03%, nel 1997 il 68,17%, nel 2001 il 68,16%, nel 2006 il 66,64%, nel 2011 il 50,58%: un vero e proprio crollo.
Purtroppo il peggioramento nella partecipazione alla politica c’è, eccome: i cittadini che non traducono in scelta politica il proprio vivere, pensare, operare in città sono 4 o 5 su 10.
Ci vuole un’altra politica. E sarebbe auspicabile che almeno uno dei quattro schieramenti contendenti aprisse una nuova danza, avviando un confronto autentico sulle priorità e sul come realizzarle.
Vedremo se avverrà.
Ma una cosa è purtroppo certa: se non avverrà, l’astensione rimarrà alta, ci saranno minori possibilità di avere un’amministrazione che favorisca il riscatto di Napoli e la vita e la politica si allontaneranno ancora.
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