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Ottavio Ragone, Repubblica Napoli 11 marzo 2016

Le primarie di domenica 6 marzo hanno parlato e hanno detto alcune cose molto chiare. Bisogna decifrare questi segnali politici sotto il frastuono delle polemiche, oltre gli «esecrabili comportamenti» – sono parole dello stesso Partito Democratico – davanti ad alcuni seggi, ovvero il deprimente scambio di denaro soprattutto in quartieri della periferia. Il primo messaggio delle primarie è che Antonio Bassolino dopo il suo lungo calvario umano e politico ha ancora un rapporto forte con la città. Ma non tale, probabilmente, da raccogliere i consensi necessari per diventare sindaco. Quelle tredicimila schede nero su bianco consentono finalmente di capire, in primo luogo all’interessato, quale peso abbia oggi e quanto la sua figura intercetti le aspettative della città, oltre le legittime esigenze personali di riscatto e risalita dall’ingiusto baratro in cui era precipitato.

La traiettoria politica di Bassolino non è finita, anzi. Ma non sale più, se misurata con il metro del consenso popolare. L’ex sindaco può sostenere – come del resto sta facendo in queste ore – che ha perso perché i fedelissimi di Valeria Valente, lei del tutto inconsapevole, avrebbero imbrogliato in alcuni seggi decisivi. Quattrocentocinquanta voti di scarto sono pochi e si prestano alla disputa a colpi di ricorsi, come in effetti sta accadendo.

Tuttavia se il ritorno in campo di Bassolino dopo tanti anni avesse sprigionato l’energia civica che lui stesso auspicava, valicando gli angusti confini del partito, l’ex sindaco avrebbe surclassato la Valente ben oltre i seggi contesi di San Giovanni, i tradimenti veri o presunti dell’amico-nemico Antonio Borriello, le guerre fratricide e tutto il triste “epos” democratico, l’infinito scontro che ormai appassiona ben poco i cittadini. Quell’attitudine belligerante, diretta scaturigine di antiche vicende politiche, incomprensibile soprattutto ai più giovani.

L’«effetto Bassolino» non c’è stato, perlomeno non nei termini desiderati dai suoi sostenitori, né realisticamente poteva esserci in una città molto cambiata. Tornato da alcuni mesi sulla scena politica, l’ex sindaco adesso l’ha conquistata ancora di più. Ha una sua evidente forza con cui il centrosinistra dovrà fare i conti, considerato che l’uomo si è trovato contro quasi tutto l’apparato del partito e per poco non ha vinto. Però, appunto: non ha vinto. Agli occhi dei napoletani non è il Bassolino di una volta e non lo sarà più.
Quella storia è finita e ora può nascerne un’altra, ma diversa.

Spingendosi oltre questo limite come legittimamente potrebbe fare qualora si candidasse e presentasse una lista civica – Bassolino potrebbe in teoria liberare un nuovo entusiasmo civico. Oppure – ed è invece l’ipotesi più probabile – imboccherebbe una strada secondaria che non conduce a Palazzo San Giacomo, nel disastro generale del centrosinistra.

Bassolino ha ragione da vendere quando rivendica il rispetto per la sua storia. Il Pd ha commesso pesanti errori nei suoi confronti e non potrà più fare finta che lui non esiste, quasi rimuovendolo come se fosse una presenza imbarazzante. Chi ha intelligenza politica non può sentirsi giudicato da dilettanti. Ma l’ex sindaco sbaglierebbe se, per desiderio di rivalsa o per regolare annosi conti politici, sovrapponesse la sua vicenda a quella di una città che non sente più il richiamo del passato. Si respira un desiderio di aria nuova che allo stato solo i Cinque Stelle potrebbero intercettare e in parte ancora de Magistris, sebbene assai più debole del 2011. In questa possibile corrente ascendente il Pd, finora, non si è nemmeno posto. Anche la destra di Lettieri ha più chance.

Il secondo messaggio delle primarie, tuttavia, è che il centrosinistra ha ancora una sua ragion d’essere. Trentunomila votanti non sono un boom ma neanche pochi, in tempi di generale disaffezione alla politica. È perfino sorprendente questo risultato dopo cinque anni di inesistente opposizione al sindaco. Il Pd non ha tirato fuori uno straccio di idea e Matteo Renzi in prima persona sta cercando di colmare il vuoto con Bagnoli, gli investimenti della Apple, le Universiadi e altri scelte che forse verranno. Questa base di consenso, ancorché modesta per la comprensibile delusione accumulata in tanti anni da militanti e cittadini, potrebbe perfino condurre il centrosinistra al ballottaggio, ma solo a patto che il Pd sia unito e utilizzi i pochi mesi che mancano alle elezioni per aprire una grande e seria discussione con la città sul programma. Le polemiche al limite dell’insulto raccontano che l’unità è già una chimera e forse è tardi per rimettere insieme i cocci di una coalizione esplosa in primo luogo sul piano dei rapporti personali.

Se poi vincerà la ragion politica e se questo sarà sufficiente almeno per agguantare il ballottaggio, si vedrà nei prossimi giorni e mesi.

Il terzo e forse principale messaggio delle primarie è che Napoli è stanca. Non ne può più delle beghe del Partito Democratico, dell’esplosione di odii antichissimi, dell’avvilente spettacolo di primarie, i cui veleni si spargono intorno per anni, macchiando una città incolpevole.

Gli scontri di partito non si consumano sulla pelle di una città.

Servono norme chiare per le primarie e uguali per tutti in Italia, ma nel frattempo il Pd e i suoi leader tutti i leader, i vecchi e i nuovi – devono rendersi conto che Napoli chiede una proposta politica chiara per valutarla assieme alle altre in campo, e poi scegliere. La città avverte ben altre urgenze, non ha alcuna intenzione di rileggere l’inconcludente romanzo di un odio senza sbocchi.

Le primarie hanno parlato, bisogna ascoltarle.