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Il 6 maggio sono usciti due articoli, due riflessioni sulla città, che ho trovato molto stimolanti. Il primo, di Luciano Stella, su Repubblica Napoli, è titolato “Energia vitale e dannazione”. Il secondo di Eduardo Cicelyn, sul Corriere del Mezzogiorno, ha un titolo alla Wertmuller (“L’appello a Saviano, una mossa propagandistica che per Valeria si è trasformata in autogol. E con un Lettieri fumoso, il sindaco del «non governo» diventa il più rassicurante”).  Da leggere.

 

Energia vitale e dannazione

Luciano Stella, Repubblica  Napoli 6 maggio 2016

CHE sta succedendo a Napoli? Come tutti noi mi interrogo. Guardo, discuto con gli amici, vivo la nostra città. Passeggio sul lungomare e nei vicoli del centro storico. Vado al lavoro camminando per via Toledo. Scopro nuovi posti che si aprono e offrono cibo e situazioni nuove e propositive. I turisti si “toccano” con mano. Tantissimi, tantissimi. Devo andar indietro di anni oramai davvero lontanissimi per ricordare una situazione simile. I musei nostri meravigliosi e unici annunciano novità e praticano un rinnovato attivismo.

Che sta succedendo? Le notizie di cronaca sociale e criminale sono “da brivido”. Degrado umano, materiale e sociale che produce orrori inenarrabili. Morti sul selciato di quartieri storici nella faida tra le nuove feroci leve camorristiche senza pietà e senza legge.

E poi ancora un fiorire di intelligenza creativa e comunicativa che si inventa pasticcini “neotipici” e buonissimi e li lancia con una sapienza di marketing e di uso dei social che è da manuale anglosassone. Un fiorire di numerosissimi set di produzioni cinematografiche che sbarcano qui senza alcun contributo regionale e fanno sembrare la nostra città un distretto organizzato come il Piemonte, la Puglia e l’Alto Adige.

Che sta succedendo? Ci sono le buche incredibili, c’è la Villa Comunale ancora largamente “inagibile”, c’è traffico, l’imbuto soffocante della Galleria della Vittoria, lavori in corso di lunghissima durata ancora non conclusi, trasporti caotici. E ci sono anche le solite insopportabili beghe di notabili ancor più vecchi di me che pur son vecchio, che si crogiolano in polemiche, in capacità di veto, in poterini da poltrone pubbliche con stipendio. E praticano il “No” come forma di profitto e potere.

Che sta succedendo? C’è jazz in una chiesa sconsacrata in un vicolo di Foria, c’è teatro nel sottosuolo fascinoso ed unico della città, ci sono manifestazioni intelligenti e coinvolgenti organizzate senza soldi pubblici, presentazione di libri, anteprime, circoli che discutono, teatro nelle case, bed and breakfast accoglienti e di charme. Ci sono tour nella più bella metropolitana del mondo. Addirittura ho notizia di una signora che ha chiamato a raccolta tutti i suoi amici romani ed italiani ed ha festeggiato il suo compleanno con un tour di circa 100 persone nella metropolitana dell’arte, stazione per stazione. Con i commenti entusiastici dei partecipanti che potete immaginare.

E poi c’è una polemica infinita e di basso profilo nei partiti che dovrebbero governare la città, c’è corruzione evidente nei ranghi della politica, ci sono “campagne di comunicazione” di alcuni candidati sindaci che sono(involontariamente immagino) al confine della goliardia liceale (che pur è eccelsa cosa ovviamente, ma forse non utile in ambito elettorale).

Che sta succedendo? Ci sono giovani aziende d’eccellenza fatte da giovani imprenditori che crescono e danno lavoro come Optima e Fan Page?e che “danno lezione” a chiunque sul territorio nazionale e non solo. Aziende contemporanee, innovative e piene anche di energia creativa. C’è l’Unione industriali che – dimostrando una modernità assai superiore alla politica che ci governa – oltre ai suoi fondamentali e sempreverdi convegni ha organizzato più di un incontro sull’audiovisivo, sull’industria culturale, sul cinema, sulla rivoluzione di Netflix e sui nuovi panorami dell’editoria e della televisione.

Tutte occasioni fondamentali di impresa e di lavoro. Tutti settori “nuovi”ed in espansione, dove Napoli può giocare un ruolo fondamentale perché la periferia è centro in questi comparti “immateriali”. Ci sono Festival di portata internazionale che ce la fanno grazie ad una grinta incredibile dei loro leader,?che creano simpatie e rete con pochissimi mezzi e fondi, ben sapendo che il “brand Napoli” ha una evocazione ed un fascino potentissimo. Che sta succedendo? Dobbiamo essere lucidi e leggeri. Seri e capaci d’azione.

Sì, perché questo fiorire generale che si miscela con il volto nero e criminale della nostra città e delle nostre vite, questo fiorire culturale e turistico che si mischia con la crisi economica e con la storica mancanza di lavoro,?questoflusso di simpatia internazionale verso Napoli e le sue bellezze e le sue contraddizioni, questo ribollire positivo che può trasformarsi in economia ed industria culturale diffusa che oscilla tra turismo e produzione di narrazioni audiovisive: ebbene, tutto questo rappresenta una occasione storica per la città e per la nostra comunità e soprattutto per le leve giovani di Napoli.

C’è in ballo molto. Bisogna saperlo leggere. Bisogna avere consapevolezza del campo e delle sue contraddizioni forti. Bisogna sapere che Napoli è davvero unica nel suo genere, per Dna storico. E quest’unicità è forza e dannazione. Ma è su questa unicità che bisogna lavorare, attivarsi, coordinare, facilitare, impegnarsi. La città è viva e vivace nonostante gli orrori criminali che albergano dentro di lei. È “di nuovo”un momento unico e fecondo. Dobbiamo saperlo vedere e la politica deve saperlo “curare” e rafforzare. Sono gli anticorpi spontanei che reagiscono, mischiati a virus virulenti e terribili. Come sempre nella vita.

 

L’appello a Saviano, una mossa propagandistica che per Valeria si è trasformata in autogol. E con un Lettieri fumoso, il sindaco del «non governo» diventa il più rassicurante

Eduardo Cicelyn, Corriere del Mezzogiorno 6 maggio 2016

Chi e dove sono i candidati perbene? Non chiedetelo a Valeria Valente, aspirante sindaco del centrosinistra con l’ala destra che s’incrocia con quella sinistra, un po’ come succedeva a Insigne e Mertens quando Benitez non ci capiva più niente. Lei si è rivolta a Saviano, noto esperto di gente permale. Saviano si è visto costretto a svicolare dato che nelle Procure con cui è impegnato da molti anni in un assiduo passaparola fanno fatica a intercettare qualcosa che non sia in odore di malaffare. Quelli del Pd durante le primarie hanno raschiato il fondo del barile, smuovendo tutta la melma che vi si era accumulata da decenni di politica professionale: e ora vedono scorie dappertutto, come se la cosa riguardasse altri, un’altra storia, mica la loro.

La verità mediatica è che il Partito democratico è il luogo geometrico in cui si dimostra il teorema savianeo della politica in quanto continuazione del male con altri mezzi. Per questo la mossa propagandistica della Valente, come certi dribbling di Albiol o di Koulibaly sulla trequarti azzurra, è stata così avventata da risultare stupida. Com’era prevedibile, Saviano ha risposto picche, auspicando che siano i politici ad assumersi la responsabilità delle scelte una volta per tutte e ironizzando sul campo elettorale del centrosinistra in salsa renziana, troppo largo perché arbitri e guardalinee possano vedere i falli e fischiare e sbandierare.

L’appello al guardiano di Gomorra serviva a conquistarsi titoli di stampa e qualche consenso nei salotti cittadini, ma com’è destino per questi politici giovani e rampanti, furbetti del partitino, le loro trovatine non dicono nulla alle persone in carne ed ossa, cioè al popolo che tra un mese sarà chiamato alle urne. Medesimo problema dall’altra parte della barricata. Sul fronte del centrodestra fantasmatico, il discorso di Lettieri ammicca all’anima popolare della città con un repertorio di slogan al limite tra un dialetto maltrattato e il puro nonsense. Insomma, al netto delle afasie pentastellate, sembra che centrosinistra e centrodestra abbiano smarrito ogni connessione culturale, antropologica e linguistica con la città, cercando improbabili sponde di significato in un’intellettualità astratta, anzi metafisica, o in napoletanismi di maniera nella speranza di suscitare acquiescenza e simpatia. Mentre — e questo è ciò che non si dice — la banda de Magistris una relazione autentica, sentimentale e ideologica con Napoli e i napoletani se l’è saputa costruire: e non perché abbia realizzato cose nuove o utili, ma proprio perché (dopo gli iniziali scivoloni) ha sostituito alla retorica del buon governo e dei grandi progetti la pratica tenace ed effettuale del non governo, del lasciar fare, dell’autogestione e delle regole a targhe alterne.

Noi napoletani sappiamo che se la polizia municipale presidia un crocevia, quello sarà il luogo del caos e del malanimo. Se non c’è nessuna divisa in agguato, qualcuno rispetta i semafori e altri no, ma il traffico scorre. Ebbene, de Magistris è stato inaspettatamente quel vigile che non si fa vedere o che guarda altrove. Giggino è diventato un sindaco popolare perché nel suo delirio autoreferenziale, zapatista, pseudo-antagonista, ha separato il Municipio dal resto della città, dai suoi modi di fare più tenaci, dai suoi traffici quotidiani e dai retroscena più oscuri.

Nel bene e nel male, de Magistris incarna oggi un potere aleatorio che non vuole e non può governare la realtà vera della città, che non vede e non comprende. In compenso, la sua figura baldanzosa si erge sulla scena nazionale come una specie di bastione immaginario dell’anti-renzismo e di una sinistra meteoritica. Il contro-discorso degli imprenditori e dei suoi competitori elettorali, ragionevole e ben giustificato, non coglie e neanche sfiora l’essenza della questione. Se de Magistris abita da cinque anni Palazzo San Giacomo con grandi probabilità di raddoppiare è perché Napoli non ne può più di una nuova classe dirigente che non sa dirigere un bel niente ma promette investimenti che mai arrivano, illustrando megaprogetti chissà se mai realizzabili. Perciò la città, almeno per il momento, si accontenta e gode del turismo riscoperto, dei suoi beni culturali sgangherati ma pieni di fascino, del suo disordine ordinato. Paradossalmente il sindaco del rinnovamento arancione ha prodotto una nuova rassicurante cartolina partenopea. L’antipolitica diventata impolitica, come volevasi dimostrare, è solo spettacolo e qui, come spesso succede, folklore.

Ma una cosa è certa. La politica non tornerà con le liste benedette da Saviano, con i vezzi da scugnizzo di Lettieri o con i software taroccati dei grillini. Men che mai con le invettive degli industriali. Ci sarà politica solo quando una nuova classe dirigente saprà confrontarsi in modo anche duro, per poi allearsi, con l’anima popolare della città, fondando un discorso moderno e finalmente condiviso sul futuro. Non si governa con i fantamilioni di Renzi. Né con l’appoggio di Saviano o con l’abbraccio di Peppe Lanzetta, fan di Lettieri e scrittore più originale dell’autore di Gomorra. Si governa sollecitando la passione, l’intelligenza e la speranza del cambiamento di molte persone, di tantissime persone, della maggioranza delle persone. È un modo antico? Finora non se n’è visto un altro in democrazia.