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Antonio di Gennaro, Repubblica Napoli del 7 febbraio 2017

La voglia di essere qualcun altro: più ci penso e più mi convinco che la spiegazione del groviglio istituzionale che è diventata la questione di Bagnoli (ma la cosa riguarda altri dossier importanti per la città, dalla sicurezza ai rifiuti), alla fine è tutta qui.

Da un lato, avevamo un capo di governo che, non pago della responsabilità, già di per sé onerosa, di formare le politiche nazionali e pure quella estera, si era candidato invece ad essere il “sindaco d’Italia”, nell’ansia di comunicare ad un paese fermo sulle ginocchia l’idea di una politica superman, in grado di intervenire su ogni cosa, finalmente capace di produrre risultati rapidi, concreti e visibili.

Se dopo un ventennio di indagini, bonifiche e programmazione Bagnoli s’è trasformata in palude stagnante, nel simbolo dell’amministrazione impotente, ci pensa il sindaco della nazione, con il decreto sblocca-Italia e il commissario, a mettere tutto a posto, dal completamento della bonifica, alla decisione dove mettere gli alberghi e le casette.

La cosa buffa è che, dall’altro lato, c’è un sindaco, quello vero, che non è arrivato ieri, anzi è al secondo mandato, che dovrebbe per l’appunto occuparsi di politiche urbane, di manutenzione e rinnovamento della città, e che preferisce invece dedicarsi ad altre cose, dal diritto alla felicità, alla fondazione di nuovi movimenti ideali e politici. Manifestando in tal modo una insoddisfazione per il suo ruolo, perfettamente speculare a quella che attanagliava il sindaco-premier: l’irrefrenabile desiderio, per l’appunto, di essere qualcun altro, come se l’amministrazione della terza città d’Italia non fosse di per sé un compito bastante a riempire la vita di una persona.

Sia come sia, il risultato è che, a distanza di quasi tre anni dal commissariamento governativo, la palude è ancora lì, e la situazione si è anzi ulteriormente complicata, perché nel frattempo c’è un altro potere dello stato, la magistratura, che vuole ancora capire cosa sia stato realmente fatto nel corso di una bonifica ventennale, costata al contribuente più di cinquecento milioni, e che per questo ha pensato bene di mettere sotto sequestro le aree.

La buona notizia, è che è ripreso ieri il dialogo istituzionale, con una riunione in prefettura del tavolo tra governo, regione e comune. De Vincenti, che di queste cose si era interessato da sottosegretario, è nel frattempo diventato ministro. Il nuovo presidente del consiglio, a differenza del precedente, sembra propenso a deporre mantello e superpoteri,  desideroso semplicemente di fare il suo mestiere.

Insomma, sembrerebbero esserci le condizioni per ripartire, il clima è cambiato, e si registrerebbe finalmente una convergenza operativa, nonostante il diniego perdurante del sindaco a prender parte alla “cabina di regia”.

Affinché tutto questo si trasformi in azione, sarebbe a questo punto necessario che ciascuno dei poteri rientrasse finalmente nei propri confini, e facesse semplicemente le cose che deve fare: il governo il completamento della bonifica (che riguarda meno di un terzo dell’area complessiva di trasformazione urbana); il comune l’urbanistica; la regione una gestione efficace dei fondi europei, e magari le grandi infrastrutture di trasporto (dove sono finite le due linee di metropolitana con le quali si immaginava di raggiungere la nuova Bagnoli?); la magistratura l’accertamento dei reati, che non necessariamente significa tenere le aree in ostaggio a tempo indeterminato.

Soprattutto il governo deve capire che Bagnoli non è l’EXPO, non è una grande opera o un grande evento, ma un pezzo di città da rigenerare, e per queste cose i commissariamenti romani non danno buoni frutti. Per quanto riguarda l’urbanistica, sono passati tredici anni dall’approvazione del PRG, che è il tempo nel quale nei paesi europei un piano viene attuato e se ne fa un altro. In quelle terre, la pianificazione è un processo, più che un documento scritto: è il mestiere di far incontrare le persone coi luoghi, creando opportunità di vita e di lavoro, nell’idea che il territorio è il bene pubblico più importante, e che le scelte devono essere condivise e sostenibili, per tutti.

Questa amministrazione comunale ha assistito inerte nei suoi primi cinque anni alla dissoluzione della società di trasformazione urbana, nonostante il cambio di management e i conferimenti simbolici di cespiti per sanare in extremis il bilancio. Per convincer tutti di aver cambiato marcia, il comune deve ora mostrare una reale capacità amministrativa, che significa soprattutto riattivare, intorno al ristretto manipolo di funzionari, un vero ufficio di piano, e una strategia di promozione territoriale credibile per cittadini e investitori. Più in generale, per i diversi poteri, è il tempo di lavorare insieme, ciascuno per le rispettive competenze, smettendola con il gioco a perdere di far finta d’essere qualcun altro.

Pubblicato su Repubblica Napoli del 7 febbraio 2017 con il titolo “E’ giunto il tempo di lavorare insieme”