napoli-piccola

Antonella Di Nocera, Repubblica Napoli 15 giugno 2017

Martedì 13 giugno. Roghi al Parco De Filippo. Come ieri a via Esopo e a via Bartolo Longo. Ancora una volta, roghi e fumi che entrano nelle nostre case, nelle nostre vite, nelle nostre teste di periferia est. Ci sono passata in macchina poco dopo le 20, i pompieri stavano con fatica terminando di placare le fiamme. L’aria acida, irrespirabile, cattiva, mentre un tramonto rosso invadeva il cielo ad ovest, inducendo a immaginare giorni migliori. Quanto tutto questo interessi poco alla città e a chi la sta governando è cosa ormai acclarata, così normale che nessuno ci fa più caso. E nessuno neanche più pretende il sacrosanto diritto che le cose vadano diversamente. Un paradosso, enorme, che mi fa zittire, proprio come quello messo in scena stasera, dagli sportivi che, nonostante il fumo e l’aria irrespirabile, facevano jogging intorno al Parco. Provo una ammirazione sincera verso chi si riesce ad adeguarsi. Corrono intorno al “cadavere” del Parco Fratelli De Filippo, uno dei tanti aperti negli anni ‘90, poi più volte “inaugurato”, ma da oltre un decennio, come gli altri parchi della zona orientale, chiuso al pubblico. Ora, il fatto che un parco verde comunale vada a fuoco, che in pochi giorni il territorio di Ponticelli sia stato colpito da vari incendi dolosi è grave, ma che tutto questo non riesca neppure a essere portato all’attenzione dell’opinione pubblica è assai più grave. Direi di più: è l’orrore, il segno di una disperata assuefazione al peggio.

Tornando a casa, poco dopo, ho scoperto che era martedì e che alla stessa ora degli incendi il sindaco di Napoli era in diretta Facebook nella redazione di Repubblica. Il fatto che il sindaco non venisse a sapere in diretta che in quel momento stava andando a fuoco uno dei principali parchi urbani della città confermava il mio sentimento. Per curiosità ho ascoltato tutto l’intervento per vedere se in qualche momento ci fosse un riferimento non dico all’episodio, ma almeno allo stato di abbandono del territorio di cui la sequela di roghi di questi giorni rappresenta la classica pistola fumante.

E allora, mi sono detta: basta. Da quando sono ridiventata una libera cittadina, all’incirca quattro anni, non ho preso quasi mai la parola nel dibattito pubblico sulla città. Ho aspettato ancora un anno, dopo l’inizio della nuova consiliatura, consacrata, nelle promesse elettorali, a un impegno per le “nuove centralità”, in attesa di ascoltare qualcosa di sensato che riguardasse le periferie, una idea minima, uno straccio di strategia, o almeno una parola di umiltà, che potrebbe dire molto più di tanti discorsi e trionfi millantati: qualcosa insomma che somigliasse a un discorso di verità. Insomma, accanto ai forum andati, alla cultura delle kermesse, ai famosi turisti, alle feste (degli altri) nei vicoli e sulle spiagge, un poco di quella sensazionale “realtà” che riguarda i cittadini comuni, qualcosa che possa farli sentire meno esclusi e distanti, come se quella città in vetrina non gli appartenesse più. Qualcosa che dovrebbe suonare un po’ così, e che a recitarla, tipo mantra, farebbe bene pure a te, caro sindaco: “Mi dispiace, cara periferia, non ce la facciamo”.

Non ce la facciamo a raccogliere i rifiuti a Ponticelli come facciamo in altri quartieri, così via Mastellone, via Esopo, via Pietri resteranno magnifici sversatoi a cielo aperto sullo sfondo della bellissima sagoma del Vesuvio.

Non ce la facciamo a mandarvi un vigile urbano nella Municipalità più vasta della città. Non se ne vede uno da almeno dieci anni per le strade di Ponticelli, Barra e San Giovanni, e ormai si fa a gara a chi è più incivile ed irrispettoso di qualsiasi regola. Perché i blitz in cui si fiondano decine di autovetture di polizia e carabinieri non hanno alcun effetto sull’ordinario vivere di una comunità. È il poliziotto municipale, a piedi, a contatto con le persone che ha un senso in questi nostri quartieri. Non ci vuole molto a capirlo. Perché alle sparatorie si può rimediare con qualche mese di tregua, ma per costruire umanità si lavora tutti i giorni, con costanza, con cura.

Non ce la facciamo a tenere aperte le strutture sportive come il Palavesuvio. Quest’anno perfino le palestre scolastiche sono state negate alle storiche società che si occupano di sport per i giovanissimi, perché la politica ha lasciato vincere l’inerzia e l’inettitudine dei burocrati sul valore sociale ed il benessere dell’attività fisica che deve riempire le giornate dei ragazzi.

Non ce la facciamo a tenere aperte le biblioteche e i parchi, a riaprire il cinema Maestoso di Barra o il Supercinema di San Giovanni, a pulire le aiuole e a non far morire gli alberi di quella che era la terra più fertile della città.

Non ce la facciamo a ridare vita alle aree destinate ai progetti di riqualificazione urbana falliti, diventate qualche volta oggetto di speculazione, ma più spesso di degrado e incuria.

Non ce la facciamo a farvi vivere come cittadini normali perché a voi è negata quella “democrazia della mobilità” che da sola renderebbe la nostra città più giusta e rispettosa dei diritti: per un anziano di andare al cimitero, o all’Asl, per uno studente di recarsi a scuola nel quartiere limitrofo con i mezzi pubblici.

Non ce la facciamo, neanche se possedete un’automobile, a garantirvi la normalità di poter raggiungere il centro per lavorare o per andare sul lungomare. Da due anni, con modalità a dir poco umilianti, i lavori di via Marina vengono interrotti, e quando sono in corso, con quattro sparuti anziani operai, non sai se farti prendere dal riso o dal pianto amaro. Mentre via Marina è un budello infernale di macchine, si è riusciti a chiudere al traffico verso Est anche via Ferraris, unica alternativa esistente.

E quando poi si aggiunge il famigerato ingorgo della rotatoria di Corso Lucci (perché siamo l’unico posto al mondo dove i mega- bus alunga percorrenza si immettono nella strettoia del traffico verso la stazione) allora puoi anche dire addio alle tue prossime due ore di vita.

Non ce la facciamo sarebbe il pensiero umile e consapevole con cui il sindaco potrebbe presentarsi e orientare le sue scelte per il futuro della città, perché a volte l’ottimismo non basta.