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La lezione di Tabarez “Il risultato è un mistero non sempre si spiega”

Francesco S. Intorcia, Repubblica del 7 giugno 2017

“Sostiene El Maestro che il tecnico sia per forza uomo di sinistra, «inseguiamo un’utopia, il progetto da realizzare in campo, ma che il calcio invece rappresenti “qualcosa di destra”, lega i nostri destini al risultato.” Prendo tutti i libri di politica e li butto via, mi basta questo.

Il Maestro cammina armato di coraggio e di una gruccia su cui scaricare il dolore. Provato nel fisico, non nell’animo. Le rughe scavate dispensano l’antica saggezza dell’insegnante. «Ho sempre pensato che sono le grandi sfide a mantenere vive le persone. Io farò l’impossibile per coprire la distanza fino alla meta: il mio contratto scade con il Mondiale e voglio portarci l’Uruguay». Da quasi due anni Oscar Washington Tabarez convive con un serio problema neurologico che ne limita le capacità motorie. Sulla panchina della Celeste dal 2006, è il ct più longevo insieme al tedesco Joachim Löw e il primo per numero di partite, 170: a marzo ha staccato Sepp Herberger. «Nella mia vita sono più vicino alla fine che all’inizio, ho 70 anni, non ho mai pensato di essere migliore degli altri e di schivare i problemi che arrivano alla mia età. Vedremo cosa mi domanderà il futuro, stavo peggio alla fine del 2015, ora sono migliorato, mi sento bene, sapete?». Nell’ultima Coppa America utilizzava una carrozzina a motore, sui giornali è circolata un’ipotesi del suo male che lui ha smentito con fermezza. «Alcuni giocatori sono con me da 11 anni, mi sento appoggiato e rispettato. Sono intelligenti, sanno che adesso quando alleno non faccio più certe cose, non come prima. Ma i miei collaboratori lavorano per me». Due assistenti, un paio di preparatori fisici. «Di sicuro non parlo della mia salute a colazione con la squadra e non penso di aver perduto nulla nella conduzione e nella leadership. Il momento difficile della nostra nazionale, quattro sconfitte di fila, non ha nulla a che fare con i miei problemi di salute, che restano privati».

Nel girone sudamericano, l’Uruguay è terzo assieme al Cile, con un punto di vantaggio sull’Argentina che, oggi, andrebbe allo spareggio. Mancano quattro partite e il 31 agosto ci sarà la sfida a Messi. «Contro l’Italia mancano Cavani, Suarez, Godin, Rodriguez: dobbiamo essere preparati al peggio. Però con l’Argentina li riavrò tutti e sono fiducioso. Il calcio vive di momenti: l’Uruguay non può sorprendere il mondo ma neppure è quello visto di recente. Abbiamo un bacino demografico ridotto e molti ruoli scoperti, a partire dai terzini. E poi io credo che nel costruire i campioni contino ancora più la mamma e il papà che l’allenatore ».

Sostiene El Maestro che il tecnico sia per forza uomo di sinistra, «inseguiamo un’utopia, il progetto da realizzare in campo, ma che il calcio invece rappresenti “qualcosa di destra”, lega i nostri destini al risultato. Ma il risultato spesso è un mistero: non puoi spiegarlo. Io non sono uno di quelli che parlano tanto prima. La bocca non ti fa vincere le partite. Bisognerebbe rimandare i commenti al “dopo”. Solo che, appunto, il risultato non sempre lo puoi spiegare ». In Italia ha allenato Cagliari, due volte, e Milan: quando tornò sull’isola, estate ’99, rilevò proprio Ventura. «Non lo conosco personalmente ma so come lavora, ha ottenuto grandi risultati con squadre sempre di medio livello. L’Italia è una delle nazionali più difficili da affrontare, ha grandi individualità in attacco, giocatori veloci, un ottimo centrocampo e un profilo tattico definito. È una referente nel calcio mondiale, non ha perduto i suoi punti di riferimenti storici». C’è un velo di malinconia, quando parla dei nuovi padroni del pallone: «Oggi i soldi arrivano da alcune parti del mondo, neanche il Milan si è salvato da questo fenomeno globale. È un calcio in cui si spende tanto, se non arrivano i risultati è un dramma. Fortuna che poi, in campo, resistono ancora leggi tradizionali».