Antonio di Gennaro, Repubblica Napoli 11 gennaio 2018
Città sull’orlo di una crisi di nervi: a Napoli l’amministratore unico di ASIA Iacotucci prende a parolacce sui social i cittadini che fanno male la differenziata, definendoli senza mezzi termini “bastardi”, in un’accezione evidentemente assai diversa da quella degli eroi sporchi dei romanzi di De Giovanni. A Bari invece il sindaco espone i riottosi alla gogna mediatica, sempre su facebook. Ha senso tutto questo? Repubblica lo ha chiesto a Daniele Fortini, che dopo aver governato i rifiuti di Napoli e di Roma, se ne è tornato in Toscana, dove presiede l’azienda provinciale dei rifiuti di Pisa.
Nel colloquio con Repubblica Fortini ribadisce la sua convinzione: senza impianti propri per il recupero e il trattamento dei rifiuti, la raccolta differenziata non decollerà mai nelle grandi città come Roma o Napoli. Il sistema è virtuoso se la filiera è corta, e il processo di svolge “a chilometro zero”. Altrimenti, “tutto si riduce a una ginnastica, un darsi da fare a vuoto, buttando per di più un sacco di soldi, a vantaggio degli impianti delle regioni del Nord. E’ per questo che il piano regionale da 150 milioni, per la realizzazione in Campania degli impianti di compostaggio che mancano, deve essere attuato in tempi rapidi, senza perdere nemmeno un minuto.”
Dall’esperienza napoletana di Fortini all’ASIA è nato un libro (“Rifiuti”), scritto con Gabriella Corona nel 2013, che resta senza alcun dubbio il testo da leggere per capire le cause profonde della crisi della monnezza in Campania. Il suo ultimo lavoro “La raccolta differenziata” semplicemente andrebbe studiato nelle scuole.
“C’è un aspetto che pochi colgono” dice Fortini: “Non è possibile prendere a modello, estendere acriticamente alla grande città, come Roma o Napoli, modelli che funzionano bene in piccole cittadine di poche decine di migliaia di abitanti, dove esistono i presupposti indispensabili, che sono innanzitutto il comportamento civico, la coesione sociale. Lì se un commerciante o una massaia deposita il sacchetto fuori tempo, c’è subito qualcuno che lo redarguisce. E’ inutile girarci intorno, i buoni comportamenti nascono anche dal controllo sociale. A Roma o Napoli è quasi l’opposto, nel senso che i comportamenti fuori norma rischiano di essere emulati, con l’idea che è meno faticoso, e si risparmia tempo. Bastano due famiglie in un condominio che non rispettano le regole, e tutto il processo è vanificato”.
Ed allora come se ne esce? “Bisogna accettare il fatto che fare la differenziata nella grande città necessita di più fatica, più soldi, e un maggior dispendio di energia. L’efficacia non può essere la stessa. Una squadra di tre operai a Pisa raccoglie nella giornata di lavoro tre tonnellate di rifiuti. A Roma e Napoli questo valore è la metà, perché ci sono le strade congestionate, le automobili in doppia fila, le buche. Quindi, servono più manodopera, più automezzi, più attrezzature. Poi ci sono gli ingombranti. In provincia di Pisa, per 370mila abitanti, abbiamo 14 punti di raccolta, uno ogni quarantamila abitanti. Roma, con tre milioni di abitanti, ha meno punti di raccolta della provincia di Pisa, e a Napoli la situazione non è molto migliore.”
A questo punto chiedo a Fortini se le contumelie o la gogna su Facebook possano essere d’aiuto. “Non credo servano a molto. Non si può scaricare sui cittadini, anche su quelli inadempienti, difficoltà che sono di sistema, e che devono trovare risposte ad un altro livello, quello degli investimenti e dell’organizzazione. Le istituzioni non possono alimentare un clima sociale già avvelenato, all’insegna dell’insulto gratuito sui social. Certo a volte la frustrazione ti prende, ma serve comunque molta saggezza, e prudenza. Bisogna perseverare in una visione strategica, e convincere le persone che la strada è quella giusta. Per incoraggiare l’osservanza delle regole però è necessario essere credibili, sforzarsi di mantenere, nonostante tutte le difficoltà, un elevato livello di servizio”.
In conclusione: se fare la differenziata spinta nei grandi centri costa di più, come la mettiamo con la crisi finanziaria che attanaglia gli enti? Fortini non ha dubbi: “La raccolta differenziata diventa virtuosa se disponi in proprio degli impianti di trattamento e valorizzazione. Ma devono essere impianti di prossimità, a chilometro zero. In queste condizioni, il sistema è in grado di ripagarsi per il 70%. Se invece la tonnellata di organico che raccogli la devi trasportare a grande distanza, verso gli impianti degli altri, in Veneto, Friuli o Lombardia, ti costa un occhio della testa, e entri nel paradosso che più differenzi più paghi. Convincere il cittadino della convenienza economica ed ambientale di tutto questo è veramente difficile”.
Eppure qui da noi c’è chi teorizza che l’esportazione di monnezza alla fine sia addirittura conveniente. “E’ un tragico errore, per almeno quattro ordini di ragioni. Innanzitutto c’è un vulnus democratico. Se non sei autosufficiente, significa che dipendi da un altro, che decide al posto tuo costi, tempi, quantità, in funzione delle sue convenienze. Non sei autonomo, e in più sei ricattabile. Stai declinando il mandato di rappresentanza che hai ricevuto dalla tua comunità. Poi c’è una questione di responsabilità. Le direttive europee dicono che ogni territorio deve prendersi carico e trattare i rifiuti che produce, non scaricare, a causa della propria incapacità, il problema su qualcun altro. Il terzo aspetto riguarda lo sviluppo. Il rifiuto aprioristico di un’impiantistica moderna, all’interno di un ciclo ordinato dei rifiuti, significa rinunciare a un’occasione importante di sviluppo industriale, innovazione tecnologica, creazione di occupazione qualificata, messa a punto di know-how, formazione, tutte cose che costituiscono un capitale tecnico-economico importante per la collettività. Infine c’è una questione di soldi. Affidarsi agli altri significa sottomettersi a un’esportazione perpetua di ricchezza. Il Nord Italia ha ristrutturato e modernizzato i suoi impianti di trattamento con i soldi pagati dalle regioni del Sud.”
A questo punto, resta da affrontare l’opposizione ostinata delle comunità locali alla localizzazione degli impianti. “E’ l’aspetto più doloroso. Negli ultimi venti anni è cresciuta la sfiducia e la diffidenza: se prima non andava bene la discarica o il termovalorizzatore, ora il rifiuto scatta anche per l’impianto di compostaggio, o il centro per il recupero della carta o delle plastiche. A volte abbiamo difficoltà a posizionare anche un semplice cassonetto. Il rifiuto si è trasformato in una minaccia indistinta. Certo, ci sono stati casi di cattiva gestione, il nostro resta sempre il Paese di Seveso e dell’Ilva; anche il ripetersi di incendi di piattaforme di riciclaggio (sette negli ultimi mesi), come quello ultimo dei giorni scorsi a Savona, pone preoccupanti interrogativi. E’ necessario recuperare fiducia. La Campania si è dotata di un piano ambizioso per la realizzazione degli impianti di compostaggio, con un finanziamento importante di 150 di milioni. E’ necessario fare in fretta tutte queste cose. Sarà il segno che finalmente si è svoltato, l’assicurazione, per tutti, che le crisi del passato non torneranno più.”
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