Antonio di Gennaro, Repubblica Napoli 27aprile 2018

Settantadue ettari di verde e architettura, dopo Capodimonte e i Camaldoli è il terzo grande parco della città, certamente quello con la storia più travagliata. Sono tornato per caso alla Mostra d’Oltremare, un sabato mattina che dovevo partecipare a un convegno, e ho trovato un luogo pieno di grazia e bellezza: i lunghi viali luminosi affollati di studenti, mamme nonni e bambini, il footing degli sportivi, un via vai di cani e padroni, e subito un cinematografo di emozioni e ricordi è partito nella testa, perché questo è un luogo magico della nostra infanzia. Il parco è aperto al pubblico tutti i giorni, per lunghi decenni questo è stato uno spazio vuoto, un’amnesia nel tessuto urbano, una rimozione collettiva.

Tornato a casa sono andato sul sito della Mostra, ho cercato il numero, e un paio di giorni dopo sono tornato, per parlare con Donatella Chiodo, presidente dell’Ente Mostra. Volevo chiederle i motivi della sua scelta: la Mostra in fondo resta un ente di diritto privato, il suo compito è quello di organizzare fiere, e allora perché l’apertura al pubblico, assumendo un impegno così gravoso, carico di rischi e responsabilità.

Un’apertura intrapresa la prima volta dal predecessore di Chiodo, Andrea Rea, progetto rafforzato negli anni successivi.

Donatella Chiodo non si scompone, è una ragazza di quarant’anni col sorriso aperto e le idee chiare: «Potrei risponderle che è tutta colpa di mia figlia Alice. La prima volta che l’ho portata ha sgranato gli occhi, subito ha esclamato “Che meraviglia!”.

Potrei dirle che non potevo deludere quello stupore di bambina. La verità è che ce lo chiede la legge: la riforma Madia dice che gli enti come il nostro devono perseguire, accanto a obiettivi economici, finalità sociali, di interesse generale.

L’apertura del parco alla città è il nostro modo di attuare quella legge. Per lunghi anni i napoletani hanno considerato la Mostra come uno spazio negato, il luogo della precarietà e dell’abbandono. Ora non è più così, e la risposta della gente è positiva, a Pasquetta abbiamo avuto diecimila visitatori».

Certo, la Mostra è un parco diverso dagli altri, la sua suggestione e atmosfera sono legate all’unione veramente unica di verde e architettura. «La Mostra d’Oltremare è un parco d’autore», mi spiega Pasquale Belfiore, ordinario al dipartimento di Architettura dell’Università Luigi Vanvitelli, che a questo luogo ha dedicato studi e pubblicazioni importanti. «È nato alla fine degli anni ‘30 insieme all’Eur, pensato e progettato da un gruppo di giovani, brillanti esponenti del razionalismo, nomi divenuti celebri come Piccinato, De Luca, Cocchia. Fu realizzata in sedici mesi, e inaugurata dal Re l’8 maggio del 1940. Restò aperto appena un mese, poi fu subito chiuso, perché nel frattempo eravamo entrati in guerra».

«Se l’Eur era stata pensata come la “città di pietra” – mi dice ancora il professore – la Mostra doveva essere la “città verde”: per la grande esposizione delle Terre d’Oltremare furono piantati un milione di alberi, molti trasportati direttamente dalle colonie, tutte le specie e varietà possibili di palme, ficus, eucalipti. Alla fine, più dei bombardamenti, fu l’accampamento degli Alleati a danneggiare il parco e gli edifici, che furono ricostruiti e riaperti all’inizio degli ‘50. Con il terremoto del 1980 ancora danneggiamenti: per far posto ai container dei senzatetto un funzionario sbrigativo e solerte ordinò la demolizione delle serre tropicali del Cocchia, un vero gioiello d’architettura moderna.

Negli anni ‘90, grazie ai finanziamenti dell’amministrazione Bassolino, iniziò il recupero definitivo dei padiglioni storici: il Cubo d’Oro, il Teatro Mediterraneo, l’Arena Flegrea, la Fontana dell’Esedra, mentre altri, come il bellissimo Padiglione Rodi, sono ancora in attesa di restauro». In un panorama di istituzioni in affanno, costrette da limiti di bilancio e organico a restringere progressivamente l’uso degli spazi pubblici in città, chiedo ancora a Donatella Chiodo quali sono le principali difficoltà che ha dovuto superare. «Il primo ostacolo è stato quello di dimostrare che l’apertura al pubblico non confligge con l’uso fieristico della Mostra, che le due cose possono coesistere. Ci sono poi gli obblighi legati al vincolo monumentale: ogni intervento di manutenzione, anche ordinario, come la potatura di un albero, deve essere autorizzato dalla soprintendenza.Per fortuna col soprintendente Garella l’intesa è ottima, penso che condivida la nostra stessa visione.”

“Certo – continua Donatella – c’è bisogno di rafforzare l’educazione del pubblico, succede che i servizi igienici siano vandalizzati, che non siano rispettati i divieti nelle aree dove abbiamo lavori in corso o problemi di sicurezza, ma il bilancio rimane estremamente positivo». E i costi? «Qui è necessaria anche un po’ di creatività. Grazie alla sponsorizzazione di un’impresa privata, che ha realizzato l’impianto di illuminazione, siamo riusciti a prolungare di due ore l’orario di apertura del parco. Ai visitatori poi chiediamo un contributo all’ingresso di un euro, l’abbonamento mensile costa dieci euro, ma la fascia di esenzione per bambini, anziani e scuole è davvero molto ampia».

Adesso passeggiamo nel Viale maestoso delle Palme, con gli alberi giunti direttamente dalla Libia; a fianco il Cubo d’Oro sembra un oggetto fiabesco, extraterrestre. Un ficus monumentale emerge da un intrico di radici, in una scena da giungla tropicale. Alla fine del viale, il profilo inconfondibile degli archi di Edenlandia, disegnati da Luigi Piccinato. Il parco dei divertimenti e il giardino zoologico sono nati con la mostra, ora c’è un muro che li separa, ma Donatella vorrebbe abbatterlo, per ricreare l’unità originaria. Dopo la crisi, lo zoo ha ripreso il suo cammino, anche per Edenlandia sembra sia la volta buona, con un progetto imprenditoriale più credibile. Intanto, sui prati verdi attorno la Fontana dell’Esedra gruppi di ragazzi prendono il sole sull’erba. Lo scenario è di suggestione totale. Alle spalle del grande arco maiolicato della fontana, lo sfondo dei terrazzamenti agricoli di Monte Sant’Angelo. La sensazione è quella di una monumentalità vissuta, ben curata, e spira una certa aria d’Europa.

Chiedo a Belfiore cosa pensi di questo lavoro. «Questo luogo ha un suo valore architettonico, una funzione economica, ma è anche una attrezzatura pubblica essenziale per la città. Anzi, se proprio si dovesse scegliere, penso che sia quest’ultimo aspetto ad essere privilegiato, assieme naturalmente alla tutela di un monumento storico di eccezionale valore».

Quello che Donatella sta cercando di fare è di tenerli insieme questi diversi aspetti: la storia, l’economia, i bisogni delle persone. Quando ha chiesto consiglio alla sua Alice, la piccola ha risposto che in fondo la Mostra, come si legge sulla homepage ufficiale, «… è un posto magico, colorato e profumato dai fiori, pieno di vegetazione, dove si può giocare, andare in bici, trascorrere giornate in allegria con la famiglia, ascoltare la musica ma anche partecipare alle fiere». Sembra un buon programma, sta funzionando, è il caso di andare avanti.