Antonio di Gennaro, Repubblica Napoli del 26 giugno 2018

La prima cosa da dire su “Napoli, promemoria”, il libro di Vezio De Lucia con prefazione di Tomaso Montanari, che si presenta al PAN martedì 26 giugno alle 17.00, è che è assai bello, il racconto avvincente dell’avventura politica e amministrativa di una città, attraverso un cinquantennio che ha cambiato in profondità, con passaggi spesso drammatici, la vita del Paese. Un aspetto importante del piccolo volume è infatti quello di raccontare le vicende urbanistiche di Napoli sullo sfondo di una storia d’Italia – dal centro-sinistra al compromesso storico,  dagli anni di piombo fino a Tangentopoli e al berlusconismo, passando in mezzo a epidemie e terremoti – che viene tratteggiata con pennellate rapide e precise, come può farlo chi molti di quegli eventi ha vissuto in prima persona, come alto dirigente dello Stato.

Evidentemente, il libro è anche un bilancio di una battaglia culturale e politica intorno a un’idea di governo pubblico del territorio, il cui campo d’azione è l’Italia prima che Napoli: l’Italia giardino d’Europa certamente, ma anche democrazia incompiuta, tutt’ora incapace di darsi strategie e regole d’uso dei suoli adeguate ai tempi, la legge nazionale è ancora quella del 1942, modificata da uno stop and go destabilizzante di riforme parziali e passi indietro, fino al tremendo Piano casa del 2008.

Sottotraccia, in questo cinquantennio difficile, De Lucia individua comunque una continuità, un filo rosso che lega le vicende napoletane, dal piano regolatore del 1972, l’ultimo redatto dal Ministero dei lavori pubblici, con il quale si chiude in qualche modo il ventennio di anomia urbana iniziato con Lauro; al Piano per le periferie e alla ricostruzione dopo il sisma del 1980; sino al nuovo piano regolatore, progettato nel ’93, e definitivamente approvato nel 2004. Secondo De Lucia, la continuità giunge fino ad oggi, al piano per Bagnoli concordato in cabina di regia, che conferma le scelte fondamentali del PRG, migliorandole anzi in alcuni punti.

Alla fine di questo percorso – è la tesi di De Lucia – Napoli è l’unica grande città italiana che è riuscita a dotarsi, in un quadro nazionale e locale complicato, grazie a un formidabile lavoro di squadra, di uno strumento organico in grado di proteggere l’eredità della natura e della storia, puntando sul riuso e la riqualificazione del patrimonio esistente piuttosto che l’urbanizzazione di aree verdi; e di impostare le grandi trasformazioni nelle aree industriali di Nitti, a est e ovest della città, mettendole al sicuro dalla speculazione.

Certo il mondo non si ferma, ma la lettura della città sulla quale si basa il piano regolatore del 2004 ha una sua forza intrinseca, e rimarrà. Non dimentichiamolo: prima del piano, i tremila ettari di verde scampati al sacco delle colline, erano ancora disseminati di progetti di lottizzazione in ordine sparso. Ora il formidabile arco verde da Agnano a Ponticelli è tutelato a tempo indeterminato, è il vero grande parco della città, una riserva di futuro. Al posto delle case, agricoltori urbani producono ora piedirossi e falanghine pluridecorati, la differenza non è da poco. Allo stesso modo, la designazione del centro storico come bene monumentale unitario è un’idea che si è affermata a livello globale, evidentemente condivisa dall’Unesco e dai turisti internazionali innamorati della città, nonostante noi, che arrivano a frotte per viverlo e goderlo.

La necessità a questo punto è quella di andare avanti, ma le difficoltà sono enormi, perché l’urbanistica consiste certamente nel redigere ed approvare buoni piani, ma è anche amministrazione quotidiana, attuazione rapida delle scelte, e il comune la sua macchina amministrativa l’ha semplicemente dismessa.

Prima dell’approvazione del PRG nel 2004 venne in visita a Napoli l’urbanista capo di Amsterdam, città di 850.000 abitanti: dirigeva un ufficio di piano con 200 tecnici, in grado di sfornare un piano ogni dieci anni, in un processo continuo di valutazione dei risultati e aggiornamento delle scelte. A Napoli invece il servizio urbanistico si è più che dimezzato nell’ultimo decennio, i dirigenti sono passati da 8 a 2; la città, col suo milione scarso di abitanti, deve gestire trasformazioni epocali con un organico che ha semplicemente uno zero in meno rispetto alla più piccola città olandese.

Anche la città metropolitana, che rappresenta il livello istituzionale cruciale per la risoluzione dei problemi immani di sostenibilità e sviluppo, è nata già morta, una camera di compensazione, con tutte l’autoreferenzialità degli egli enti di secondo grado, non chiamati a rispondere direttamente ai cittadini. E’ una questione decisiva, perché l’area metropolitana di Napoli è una priorità di scala nazionale ed europea, ed è qui che si gioca il destino del Mezzogiorno e del Paese.

Ad ogni modo, come sottolinea Tomaso Montanari nella prefazione, il messaggio di “Napoli promemoria” è di non fermarsi, andare avanti. E’ il racconto onesto e appassionato di un grande lavoro collettivo, svolto avendo come bussola costante l’interesse pubblico, assieme a un amore sconfinato per la città. Alla fine del libro De Lucia riprende l’idea di abbattere il muro di Bagnoli, mettere termine a una bonifica autoreferenziale che ha tolto di mezzo l’urbanistica, riprendere il dialogo coi cittadini, ma l’invito più generale è di rimettersi in cammino, di restituire alla città una capacità effettiva di amministrazione e governo, senza la quale non c’è buona vita, né vera democrazia.