Antonio di Gennaro, Repubblica Napoli 29 maggio 2019

I segni premonitori c’erano, eppure in pochi avrebbero scommesso su un’affermazione così netta dei partiti ambientalisti nelle elezioni europee del 26 maggio. Parlamentari verdi sono stati eletti in 13 paesi, nella nuova assemblea sono aumentati da 50 a 69, e saranno probabilmente determinanti nella formazione di una maggioranza in grado di fare a meno di sovranisti, populisti e destre.

Le affermazioni maggiori sono in Germania, dove Die Grünen con il 20,5% è secondo partito dietro la CDU-CSU della signora Merkel; in Francia, dove Les Verts con il 13,5% è la terza forza dopo Le Pen e Macron; ed anche in Gran Bretagna, dove il Green Party con l’11% è quarto, prima dei conservatori di Theresa May in caduta libera. Manca l’Italia, dove Europa Verde con il 2,3% è lontana dalla soglia d’ingresso, e non ha eletto alcun rappresentante.

Il dato su cui riflettere è la piattaforma politica con la quale queste forze si affermano, e il caso esemplare è quello dei verdi tedeschi, che secondo molti osservatori hanno compiuto con le ultime elezioni il salto da partito identitario a partito di massa, in grado di cogliere consensi in segmenti della pubblica opinione assai diversi. Gli ingredienti del successo non sono nuovi se presi singolarmente, ma lo diventano se si considera la sintesi originale che  Die Grünen ha proposto all’elettorato.

Attorno al nucleo fondativo di istanze ambientali – lotta al cambiamento climatico, transizione energetica, contenimento del consumo di suolo ecc. – i verdi tedeschi hanno infatti costruito una strategia economica e sociale a tutto campo, che comprende le infrastrutture, i trasporti, la politica della casa, il lavoro, l’integrazione degli immigrati. Per tradurre in realtà queste cose Die Grünen sono al governo in nove lander, collaborando di volta in volta senza particolari difficoltà sia con i cristiano-democratici che con i socialdemocratici.

Fin qui siamo nel solco di un ambientalismo adulto, pragmatico, le cui basi sono state gettate vent’anni fa con l’affermazione nel partito dell’ala “realista” su quella “fondamentalista”, una linea seguita poi con continuità, fino all’attuale leadership di Hannalena Baerbok e Robert Habek.

Ma c’è dell’altro, perché l’affermazione dei verdi tedeschi deve molto a scelte che con l’ambientalismo apparentemente hanno poco a che fare: la chiusura netta al populismo; l’affermazione delle libertà individuali, oltre ogni distinzione di razza, religione, orientamento sessuale.

Poi – e sono opzioni non scontate, che fanno veramente riflettere – la difesa più gelosa delle regole del gioco e dei principi di democrazia liberale, perché non ci sono politiche ambientali se le istituzioni si ammalano. Infine, il cosmopolitismo, il multilateralismo, l’europeismo, l’idea che l’unica garanzia per i giovani sia legata a un’Europa ancora più connessa e integrata che rimane, con tutti i suoi difetti, l’ecosistema sociale migliore nel quale ci sia ancora dato di vivere.

E’ una scommessa importante quella che viene dall’ambientalismo europeo, che chiama in causa l’intero fronte democratico-progressista, a cominciare da quello di casa nostra: lisciare il pelo alla tigre populista è inutile, ci rimetti il tempo, e pure l’anima.