Antonio di Gennaro, Repubblica Napoli 2 marzo 2020

E’ vero, non tutto ha funzionato come doveva, eppure in questi giorni è netta la sensazione che se il Paese regge è merito dello sforzo titanico che gli uomini della sanità pubblica, con i mezzi che hanno a disposizione, stanno compiendo.

Intervistato per questo giornale da Giuseppe Del Bello, il direttore del laboratorio di Virologia dell’Azienda dei Colli, Luigi Atripaldi, ha descritto il lavoro al limite che la sua struttura – 10 unità in tutto – svolge per realizzare le centinaia di tamponi che giungono. A chi gli parla di inefficienze Atripaldi risponde a muso duro che sono critiche ingiuste “Noi in ospedale facciamo la nostra parte con notevoli sforzi, mettendoci a disposizione dei pazienti, ma è necessario che tutti i cittadini in ansia per il coronavirus siano informati a dovere”. Prima di reclamare test non utili, o di prendere d’assalto i pronto soccorso, come è successo al Cotugno.

E’ lo stesso racconto da nord a sud, le notti in ospedale di Maria Rita Gismondo, la direttrice del laboratorio di Microbiologia del Sacco di Milano, criticata sui social dal collega Burioni solo per aver suggerito un po’ più di misura nel parlare della malattia; o il lavoro non stop dell’equipe di quaranta medici del San Matteo di Pavia, quelli che curano il “paziente uno”, l’unico organismo giovane per ora realmente in pericolo di vita, la cui guarigione avrebbe una portata simbolica che è difficile sminuire.

A chi gli chiede chi glielo ha fatto fare, Walter Ricciardi, già nostro rappresentante presso l’Organizzazione Mondiale della sanità, e da pochi giorni super consulente del ministro alla salute Speranza, risponde che ha accettato “… perché ritengo che ora ci si debba mettere al servizio del Paese, che è in un momento difficilissimo. Io sono un medico di sanità pubblica e questo è il mio mestiere.”

Appunto, la sanità pubblica, sarebbe a dire una delle conquiste della contemporaneità, l’idea di garantire la salute universale, e che ciò sia compito dello Stato. Su questo l’opinione di Ricciardi è chiara: “L’Italia ha una debolezza: il sistema è frammentato, è in mano alle Regioni e lo Stato ha solo ruoli limitati. In tempi normali questo è anche accettabile ma in tempi di epidemia come questo può avere effetti letali.”

Senza voler tirare in ballo la ramazza di Manzoni, non è proprio il caso, è vero che la difficile esperienza collettiva che stiamo vivendo è un momento di verità, nei confronti ad esempio del liberismo ideologico dello Stato visto come principale nemico, dell’individualismo gretto che salva, del disprezzo delle competenze. E una differenza c’è anche tra noi e l’immenso romanzo di Don Lisander, dove lo Stato come progetto collettivo proprio non c’è, e la storia è tutta una tragedia di prevaricazioni ottuse e santità individuali.

Gli uomini della sanità pubblica in questi giorni difficili invece parlano come membri di un sistema, giocatori della stessa squadra. Secondo Fausto Baldanti del san Matteo di Pavia “qui è in corso il più gigantesco sforzo messo in campo dall’Occidente contro questa infezione nuova. Ancora non la conosciamo e lei non conosce noi. Da qui nascono potenzialità della diffusione e potenza della paura.”

C’è in queste parole tutta l’accettazione adulta della complessità, del rischio, della sfida dura della vita, senza colpevoli da additare, semplificazioni da sbandierare. Come vaccinazione, almeno contro il populismo becero, dovrebbe bastare.