
Antonio di Gennaro e Pio Russo Krauss, Repubblica Napoli 14 febbraio 2021
Abbiamo letto gli articoli sull’ultimo rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità sulla Terra dei fuochi, tutti molto simili, nella titolazione, nel testo, e nel messaggio per il lettore: la dimostrazione, una volta per tutte, del nesso causale nella Terra dei Fuochi tra inquinamento da rifiuti e tumori, asma, leucemie, malformazioni congenite.
Dopo il profluvio di articoli e servizi televisivi, abbiamo ritenuto cosa utile leggere con attenzione il rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità. La cosa sorprendente è che il rapporto dice cose molte diverse da quelle che i media hanno diffusamente riportato. Basterebbe leggere le conclusioni: “Nell’intera area e in singoli comuni si sono registrati eccessi di specifiche patologie, ai quali l’esposizione a contaminanti rilasciati/emessi dai siti di rifiuti può aver contribuito con un ruolo causale o con-causale”.
“Può” in italiano indica una possibilità, non un dato di fatto. Restiamo quindi nel campo delle ipotesi, che devono essere dimostrate, che è poi quello che è scritto nel rapporto: “Lo studio consente, quindi, di generare ipotesi eziologiche (relative alle possibili cause, ndr) ma non di verificarle direttamente”. La frase è chiara e non dovrebbe dare adito a equivoci.
Nel rapporto è scritta anche un’altra cosa molto importante: “Tutti gli indicatori di rischio sono stati elaborati non aggiustandoli per l’Indice di Deprivazione”. Ciò significa che non si sono controllati i principali fattori confondenti: la povertà, il basso reddito, la bassa istruzione. Ci si ammala di più perché si abita vicino a una discarica o ci si ammala di più perché si è poveri? Vicino alle discariche e nelle aree degradate infatti abitano i più poveri e non i ricchi ed è da tempo scientificamente acclarato che i poveri si ammalano di più e muoiono prima dei ricchi e benestanti.
I ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità questo lo sanno bene, e infatti mettono in guardia: “Tale limite (non avere corretto i dati sulla base del reddito, istruzione ecc. ndr) andrà considerato nella lettura dei dati, visto che molte di queste patologie multifattoriali hanno tra i principali fattori di rischio la deprivazione socio-economica e che spesso le popolazioni residenti in siti contaminati sono più deprivate rispetto al resto della popolazione”.
La cosiddetta “Terra dei fuochi” è un pezzo d’Italia che soffre certo di problemi ambientali (in primis l’inquinamento atmosferico) e sociali (è tra le aree con la maggiore percentuale di poveri, di disoccupati, di lavoratori in nero) e ciò non può non influire sulla salute della popolazione. L’enfasi sul problema dei rifiuti nasconde la complessità dei problemi che devono essere affrontati: c’è bisogno di politiche ambientali, di chiudere decentemente e legalmente il ciclo dei rifiuti, ma soprattutto di politiche contro la povertà, la deprivazione, la scarsità di servizi essenziali.
Anche sul tema delle bonifiche – la soluzione catartica che tutti gli articoli hanno tirato in ballo – bisognerebbe poi intendersi. La famigerata discarica Resit è stata completamente impermeabilizzata, il percolato non si forma più, e l’area è stata trasformata in un parco pubblico di sei ettari. A San Giuseppiello, il podere che la camorra ha utilizzato per sversare fanghi industriali, ora c’è un bosco di 20mila pioppi che sta ripulendo i suoli. Interventi razionali, a basso costo, simili a quelli attuati in tutti i paesi civili. Eppure nessuna autorità è mai venuta, a fine lavori, a inaugurare i siti. Al termine del suo mandato, il commissario alle bonifiche Mario De Biase non sapeva a chi riconsegnare le chiavi. Nessuno se ne sta occupando, le opere vanno in malora.
La criminalità nel frattempo, come raccontato su queste pagine, ha fatto una ventina di raid dimostrativi, distruggendo le belle palazzine con gli uffici e gli impianti tecnologici. Questa terra ha bisogno di Stato, amministrazione, presidio, applicazione quotidiana, senso civico, rigore nel dire e nel fare. Sono temi oggettivamente non semplici da raccontare, ma i proclami, il dibattere senza avere prima letto i rapporti, non aiutano certamente a cambiare le cose.
1 commento
Comments feed for this article
16/02/2021 a 13:17
Salvatore De Rosa
Andrebbe anche evidenziato che il rapporto rileva che circa il 37% della popolazione residente in 38 comuni nell’area a nord di Napoli vive entro cento metri da siti di smaltimento legali e illegali di rifiuti (2.767 quelli censiti nello studio, di cui 653 interessati da roghi). Bisognerebbe altresí avere l’onestá intellettuale di sottolineare che secondo gli autori dello studio “il territorio indagato può ritenersi abbastanza omogeneo, in termini di accesso alle cure e di stato socio-economico delle popolazioni, per cui si può ragionevolmente ritenere che i risultati delle analisi di regressione per classi di comuni di IRC, condotte all’interno dell’area in studio, siano al netto di questi fattori” (pag.54). Infine, sono gli stessi autori a evocare l’urgenza di specifici interventi: “bloccare qualsiasi attività illecita e non controllata di smaltimento di rifiuti, bonificare i siti con rifiuti e le aree limitrofe che possono essere state interessate dai contaminanti rilasciati da questi siti; incentivare un ciclo virtuoso della gestione dei rifiuti, attualmente già attivo in alcune aree della Regione Campania; attivare un piano di sorveglianza epidemiologica permanente delle popolazioni; implementare interventi di sanità pubblica in termini di prevenzione-diagnosi-terapia ed assistenza.” (pag.61).
Fa quindi specie leggere dalle penne di commentatori preparati una sottovalutazione e sottostima dei risultati contenuti nel rapporto, tradendo un desiderio nemmeno troppo celato di minimizzarne l’allarme. La Resit è stata messa in sicurezza, ma cosa ne è degli interventi in area vasta, sul litorale domitio flegreo, alla discarica di Pianura, nei micro siti oggetto di roghi e sversamento abusivi, ecc. ecc.? Certo non si puó affermare che le bonifiche dei siti di smaltimento legali e illegali stiano procedendo in maniera spedita.
Inoltre, quel che il rapporto intima di prendere in carico è una valutazione piú accurata e in filigrana della salute della popolazione residente, non dice di certo che il problema è la povertá. La povertá è sí indicata nella letteratura medica come con-causa di morbiditá, ma molto piú inchiostro è stato speso dalla letteratura specialistica sull’evidenza che vivere nei pressi di siti inquinati aumenta i fattori di rischio per tutte le malattie. Al di lá dell’esattezza nel nesso causale, perchè dovrebbe essere lecito o pacificamente accettato di vivere in zone oggetto di scarichi, roghi, discariche e altre fonti inquinanti? Se poi si volesse conoscere nel dettaglio la trasmigrazione di contaminanti nei corpi dei residenti, e fare luce sul serio sull’esistenza o meno di un nesso causale diretto, esiste un metodo utilizzato in altri contesti: il biomonitoraggio individuale su larga scale (un esempio: https://www.hpcbd.com/Personal-Injury/DuPont-C8/The-Brookmar-C8-Health-Project-CO.shtml).
Perchè, invece di gettare acqua sul fuoco, non ci si unisce al lavoro di comitati, residenti e associazioni di categoria, per richiedere una volta per tutte la pulizia dei territori campani e una campagna di biomonitoraggio che possa far luce sul nesso di causalitá?