Antonio di Gennaro, Repubblica Napoli 6 luglio 2021


E’ successo che dopo un intervento del sottoscritto alla sessione del “Sabato delle idee” dedicata allo stato della città e alle proposte per rimetterla in sesto, altri organi di stampa cittadini abbiano ripreso le cose dette su Bagnoli, come fossero novità, i lettori di questo giornale sanno invece che si tratta di riflessioni che “Repubblica” porta avanti coerentemente da molti anni, l’ultimo ampio reportage scritto con Giuseppe Guida è di un paio di settimane fa.
Nel fine settimana amici premurosi hanno anche telefonato raccontandomi del grande trambusto che ne è seguito sui social, chiedendomi in che modo intendessi replicare, difendermi, contrattaccare, ma non è questo che serve ora, quanto continuare a ragionare.
Il punto è come restituire alla città il vasto territorio dell’ex acciaieria murato, interdetto, sequestrato da un trentennio. Tutte le evidenze sostengono la possibilità in condizioni di sicurezza di aprire al pubblico il parco che già c’è, un parco temporaneo certo, di bellezza e suggestione immensa, dove i processi naturali di ricolonizzazione vegetale hanno creato un nuovo struggente scenario per i monumenti della grande industria che fu.
E’ bene ripeterlo, non si tratta di idee originali, ma della prassi che le democrazie serie seguono per il recupero dei grandi santuari dismessi dell’industria novecentesca, sulla base di una trasparente analisi di rischio, e di una rigorosa e sobria messa in sicurezza dei luoghi.
La strada italiana è diversa (perché il problema non è solo Bagnoli), basata invece sul rispetto di astratti valori tabellari, così che la bonifica – una bonifica cartacea, ideologica, slegata dalla realtà – diventa l’obiettivo dell’azione pubblica, anziché l’effettiva restituzione dei luoghi alla collettività. Un meccanismo estremamente costoso, che non porta a nulla, strutturalmente inceppato, se ancora il report di Confindustria sulle bonifiche in Italia evidenzia come le operazioni portate a termine a scala nazionale rappresentino una percentuale irrisoria, del tutto frizionale rispetto al totale.
A Bagnoli tutte queste cose assumono dimensione parossistica. Ancora di recente, L’Istituto superiore di protezione ambientale ha dovuto bocciare tout court in conferenza dei servizi uno strampalato piano di bonifica redatto da Invitalia, per il lotto adiacente via Bagnoli, che prevedeva lo sbancamento del suolo fino alla falda, quasi sei metri di profondità, senza validi motivi e spiegazioni, al posto di un più sobrio e razionale confinamento degli strati superficiali, una cosa nella quale le strutture vegetali, già all’opera, danno un grosso contributo.
Stesso discorso per i fondali marini, dove si vorrebbe procedere a un vasto, costoso, irragionevole dragaggio dei sedimenti di fondo, un’operazione di enorme impatto per l’ecosistema, col problema totalmente irrisolto poi di come smaltire le immani quantità di fanghi. Inutile dire che pratiche più sobrie e ragionevoli ci sono, come raccontato nel reportage di “Repubblica”, basate sulla stabilizzazione in loco dei sedimenti, anche qui con l’aiuto di piante idonee, prima tra tutte la Posidonia con le sue spettacolari praterie sommerse.
Insomma, è necessario per Bagnoli un cambio di impostazione realistico, rapido, per ricostruire da subito un rapporto con i luoghi che ha semplicemente saltato una generazione. Si tratta di ragionamenti che “Repubblica” da anni offre al dibattito pubblico, continuerà a farlo, capiremo nelle prossime settimane se il vento è finalmente cambiato.