
Antonio di Gennaro e Giuseppe Guida, Repubblica Napoli del 21 agosto 20121
Una cosa pensiamo di averla capita girando la città per preparare i reportage, pubblicati sulle pagine di “Repubblica Napoli”, su stato e prospettive di alcuni luoghi emblematici – dal Centro direzionale ai Quartieri Spagnoli, passando per Napoli est, Posillipo, Bagnoli, Pianura – ed è l’importanza che ancora hanno i quartieri. Non parliamo delle 10 municipalità, che sono rimaste contenitori artificiali, vuoti di poteri e funzioni, meri luoghi di intermediazione spicciola.
È banale dirlo, ma i 31 quartieri rimangono ancora realtà vere, con una loro storia, cultura, radicamento. Sono città nella città. Molti di essi, pensiamo a Ponticelli, Secondigliano, Pianura, se non fossero Napoli, sarebbero, almeno per rango demografico, cittadine di rilievo, a scala regionale e non solo.
All’inglobamento degli antichi casali nella Grande Napoli, cento anni fa, non è seguito un reale progetto di integrazione all’interno di un’agenda cittadina unitaria, in cui tutti potessero riconoscersi, e così Napoli rimane una città incompiuta, un’aggregazione di villaggi.
In molte di queste “città nella città” la desertificazione dei servizi, delle attrezzature comuni, degli spazi pubblici vivibili, ha raggiunto nell’ultimo ventennio, come ha scritto Ottavio Ragone nel suo recente editoriale, livelli critici per la tenuta sociale, economica, democratica.
Per inaugurare ora (si spera) una fase nuova, è da una contabilità, un bilancio scrupoloso di questo deficit di cittadinanza che bisogna partire, quartiere per quartiere, perché problemi e priorità sono diversi. Se le uniche reti rimaste a fare presidio e coesione sono la scuola pubblica, la Chiesa e il terzo settore, è la maglia istituzionale che è invece assente e va capillarmente ricostruita: un sistema nervoso per ricevere e immettere quotidianamente stimoli, segnali, progetti concreti e urgenti.
Su questi temi i programmi e le idee sulla città non possono più essere generici, immaginari o immaginifici. Devono invece fare i conti con la Napoli reale e con i vent’anni di inerzia trascorsi, ma anche con vent’anni (almeno) di azioni e progettualità incompiute. Quartiere per quartiere, Napoli deve recuperare una capacità di governo all’interno dei suoi confini, per poter credibilmente recitare un ruolo guida a scala metropolitana, regionale e anche, in una prospettiva più lunga, in quella macro-regione meridionale che inevitabilmente tenderà a formarsi, se con il Recovery plan si riuscirà a completare davvero il sistema di connessioni, a cominciare dall’Alta Velocità (quella vera) verso Bari e verso Reggio Calabria.
Per aspirare ad essere riconosciuta ad un qualsiasi livello sovralocale, Napoli deve fare prima i conti con il suo quotidiano e con chi con questo quotidiano ha a che fare. Con una programmazione di breve termine, ordinaria, fatta dei mille fatti urbani che, messi tutti assieme, sono diventati un’emergenza.
È necessario, in questo senso, un inedito Piano di manutenzione urbana del corpo della città attraverso il quale il tema negletto della “manutenzione ordinaria” e del decoro diventi investimento strutturale e azione continua e duratura. Un piano che agisca sul lato fisico, ma anche sugli assetti organizzativi e funzionali della macchina comunale.
Una programmazione che consenta di attivare finalmente, per fare solo alcuni esempi, un servizio (in house, o anche esternalizzato, ma con regole chiare) di manutenzioni capillari e tempestive lungo le arterie cittadine (carreggiate, marciapiedi, aree pedonali), di pulizia e cura di arredi, fontane, piccoli monumenti. Delle piste ciclabili frettolosamente istituite dalla precedente amministrazione, salvarne alcune, riqualificandole e riammagliandole, garantendo a chi usa bicicletta e monopattino una rete sicura e certa. Assicurare una decente illuminazione pubblica. Regolamentare insegne dei negozi e cartelloni pubblicitari, soprattutto nelle aree di pregio e di valore storico.
Ricostruire e rendere rapidamente operativo un servizio comunale di cura e manutenzione del patrimonio di aree verdi, ormai in larga misura indisponibile per i cittadini, per i bambini soprattutto, cui la città offre veramente troppo poco rispetto agli standard delle normali città europee.
Gestione ordinaria è anche il portare a compimento i progetti e piani attuativi già in corso da anni e mai conclusi, senza inventarsene di nuovi.
Su questo sfondo, può apparire meno urgente, se non meno utile, elaborare nuove strategie attraverso la redazione di un nuovo strumento urbanistico, il Puc. Queste cose richiedono tempo, impegno e condizioni di contesto che, allo stato, la città non è in grado di garantire ed è forse opportuno dislocarne la redazione al medio-lungo periodo, una volta definita, quartiere per quartiere, l’agenda di qualità e rigenerazione urbana che la città attende. Una città bellissima e plurale che si aspetta di essere riparata per poter ripartire. E cinque anni sono il tempo giusto.
Lascia un commento
Comments feed for this article